Operatore qualificato e obbligo di informazione: interpretazione integrativa dell'art. 31 del regolamento e dubbi di costituzionalità
Pubblicato il 21/01/09 02:00 [Articolo 649]






Sommario: 1. Il caso; 2. Nullità e inadempimento: qualificazione della domanda e giusto processo; 3. L'applicazione dell'art. 31 del Regolamento all'operatore qualificato persona giuridica: il dibattito di dottrina e giurisprudenza; 4. segue: la scelta interpretativa operata dalla sentenza in commento; 5. Doveri informativi, integrazione delle norme regolamentari e ipotesi di incostituzionalità dell'art. 31 del Regolamento n. 11522/98; 6. Conclusioni.


1. Il caso
Nonostante la questione dell'operatore qualificato sia stata ampiamente approfondita da dottrina e giurisprudenza e benché i problemi posti dall'interpretazione della speciale normativa di settore siano stati sviscerati da molteplici angolazioni, è possibile affermare che questa decisione1 apre una prospettiva inedita sulla quale val la pena soffermarsi.
Una società immobiliare, dopo aver stipulato un contratto di locazione finanziaria a tasso variabile su di un immobile di rilevante valore, concede il bene in locazione a terzi e pattuisce canoni di entità pari alla rata di leasing, oltre ad una maggiorazione per remunerare l'operazione. Al fine di cautelarsi dal rischio d'aumento dei tassi di interesse, e quindi di aumento della rata del leasing, l'immobiliare stipula vari contratti di interest rate swap2 con la banca al cui gruppo appartiene l'istituto di leasing.
Purtroppo, l'esito dei contratti di swap, via via rinnovati nell'arco di un biennio, non è stato quello prospettato dalla banca, di avere cioè un andamento di segno contrario all'eventuale aumento del tasso applicato alla rata di leasing. I contratti avevano, infatti, generato una ingente perdita a carico della società.
L'immobiliare citava, quindi, in giudizio la banca sostenendo di non essere stata adeguatamente informata dei forti rischi connessi all'uso dei contratti di swap e, con riguardo alla specifiche operazioni impugnate, deducendo che la banca aveva garantito che quei contratti erano stati concepiti in modo tale da assicurare la copertura dal rischio di variazione dei tassi e che mai avrebbero potuto generare una perdita tanto rilevante e del tutto slegata dallo scopo dichiarato.
La cliente, sulla base di questi presupposti, impugnava i contratti affermando l'invalidità della dichiarazione di operatore qualificato resa ai sensi dell'art. 31 del reg. Consob n. 11522/1998 e sostenendo che tale dichiarazione, per essere valida, presuppone in capo alla società dichiarante una reale ed effettiva conoscenza ed esperienza in strumenti finanziari che l'intermediario ha il dovere di verificare in concreto. In mancanza di tale verifica l'intermediario non avrebbe potuto inquadrare la cliente nella categoria degli operatori qualificati e non avrebbe potuto ritenersi esonerato dall'applicazione della normativa di protezione prevista per i normali investitori.

2. Nullità e inadempimento: qualificazione della domanda e giusto processo
La corte milanese, prima di affrontare le specifiche questioni interpretative dell'art. 31 del Regolamento intermediari3, si sofferma sul problema dell'esatta qualificazione giuridica della domanda proposta dalla società rilevando che, nonostante questa abbia chiesto la dichiarazione di nullità degli swap, i fatti allegati consistono in specifici inadempimenti ai doveri informativi posti dalla legge a carico degli intermediari, inadempimenti che, anche alla luce dei chiarimenti forniti sul punto dalla recente sentenza delle Sezioni Unite, avrebbero potuto portare alla risoluzione del contratto e non alla dichiarazione di nullità.4
Il giudice, quindi, avvalendosi del potere di dare qualificazione giuridica alle domande, ha ritenuto che quella avanti a lui proposta fosse in realtà una domanda di risoluzione per inadempimento. 5
La precisazione si rivela quanto mai opportuna, in quanto, in sede di prima applicazione dei principi dettati dal TUF e dal regolamento, non sono mancate decisioni che hanno respinto le istanze degli investitori solo perché le richieste di risarcimento o di restituzione sono state proposte come conseguenza della domanda di nullità anziché di quella di inadempimento contrattuale.
Sul punto, nonostante non sia questa la sede per approfondire un argomento di tale portata, è interessante notare che il Tribunale, nel caso di specie, basa la qualificazione della domanda sulle censure mosse all'intermediario che, come si è detto, afferiscono alla mancata informazione sul rischio specifico degli swap, al mancato raggiungimento dello scopo di copertura dal rischio di variazione dei tassi ed infine al fatto che la sola dichiarazione prevista dall'ultima parte dell'art. 31 del regolamento non sarebbe sufficiente per classificare l'investitore nella categoria degli operatori qualificati.
E poiché le contestazioni in parola attengono ai doveri di comportamento dell'intermediario, la cui violazione, come hanno chiarito le Sezioni unite civili della Suprema Corte,6 non incide direttamente sulla validità del rapporto di intermediazione ma rileva quale fonte di responsabilità contrattuale, la domanda non può che essere intesa quale azione di inadempimento.
Nell'optare per questa soluzione, il giudice ha quindi ritenuto che la parte, nonostante le espressioni usate, invocasse nella sostanza un rimedio tendente ad invalidare il contratto ed a porre rimedio al pregiudizio subito per eliminare le conseguenze dannose causate dal comportamento della banca.
Benché, quindi, i rimedi della nullità, del risarcimento del danno e della risoluzione siano tra loro assolutamente differenti sul piano giuridico ed in parte anche su quello degli effetti, il Tribunale, nell'interpretare la domanda, ha evidentemente avuto riguardo all'effetto invocato in concreto dall'attore e quindi alla sostanza più che alla forma utilizzata per la formulazione della sua pretesa.
Seguendo l'orientamento più volte ribadito dalla Corte di Cassazione,7 il Tribunale ha, dunque, fatto uso del suo potere di qualificazione ricercando la effettiva volontà della parte e ha dato rilievo al contenuto sostanziale della richiesta ed alle finalità perseguite, desumendole, oltre che dal tenore letterale della domanda, anche dalle vicende in essa dedotte e rappresentate.8
Pare quindi possibile sostenere che la pronuncia ha fatto proprio il principio secondo il quale "non sono necessarie formule sacramentali per proporre la domanda e che questa può essere formulata anche per implicito ed emergere allora piuttosto da considerazioni obiettivamente funzionali che da ricerche dell'«interna volontà» dell'interessato."9
Nella ricerca del cd. petitum sostanziale10, il giudice ha preso quindi in considerazione l'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e l'ha individuata con riguardo alla protezione ad essa accordata dall'ordinamento.11
La scelta operata costituisce allora applicazione del generale principio della prevalenza della sostanza sulla forma, che ha una notevole rilevanza anche al fine di stabilire il mezzo di impugnazione esperibile nei confronti di un determinato provvedimento giudiziale12 e che, mi pare, sia stato ancora ribadito in seguito alla modifica dell'art. 111 della Costituzione che ha iato il principio del giusto processo.13
Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella recente sentenza 18 dicembre 2007, n. 26619,14 nel risolvere il problema degli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento pronunziata da giudice incompetente per territorio, hanno optato per la conservazione degli effetti sostanziali della sentenza anche se resa da giudice incompetente.15 Ma ciò che preme evidenziare è che la S.C., richiamando espressamente l'art. 111 Cost., ha affermato che per giusto processo si deve "intendere quello articolato in modo da garantire una risposta coerente ed adeguata alle esigenze di tutela fatte valere con l'atto di suo impulso".
L'affermazione, sintetica ma densa di significato, pone senza dubbio l'accento sul contenuto sostanziale della domanda.
Come ha affermato autorevole dottrina, è noto come sempre più la giurisprudenza tenda ad un superamento dei concetti di petitum e causa petendi e sposti l'attenzione su quelli di petitum sostanziale16 e di ambito della lite.
La S.C., nell'affermare che è giusto quel processo che garantisce una risposta coerente ed adeguata alle esigenze di tutela fatte valere, ribadisce ancora una volta la necessità che il giudice, nell'interpretare la domanda, ne individui l'oggetto svincolando la ricerca da ogni formalismo ed indagando sulle finalità che la parte intende ottenere e che devono essere
necessariamente raccordate con gli strumenti di tutela effettivamente offerti dall'ordinamento.
«Ciò che conta è quindi l'esigenza di un certo avere»17, esigenza che deve essere posta in relazione alla parte ed al tipo di tutela ottenibile.
Per raggiungere questo scopo, il giudice può allora procedere autonomamente alla ricostruzione dei fatti di causa in modo diverso da quello prospettato dalla parte ed applicare una norma giuridica diversa da quella dalla stessa invocata.18
Tornando alla decisione in commento, ci pare di poter condividere il procedimento seguito dal Tribunale di Milano, il quale, dopo aver rilevato che ai fatti allegati a fondamento della domanda l'ordinamento ricollega non la nullità ma la risoluzione ed il risarcimento del danno, ha anche osservato che la domanda formulata era comunque tesa ad invalidare il contratto e che gli effetti della dichiarazione di nullità presentavano notevoli analogie con quelli della risoluzione per inadempimento.
A ben vedere, nella maggior parte dei casi in cui l'investitore agisce in giudizio contro l'intermediario deducendo la violazione di norme di condotta, con particolare riferimento a quelle che prescrivono doveri informativi le esigenze di tutela fatte valere con la domanda consistono nel diritto alla eliminazione degli effetti patrimoniali negativi provocati dal comportamento antigiuridico de
ll'intermediario. Se queste considerazioni sono corrette, riesce difficile credere che per la parte possa avere rilevanza la
qualificazione della fattispecie oggetto di giudizio in termini di nullità piuttosto che di inadempimento.
Unica ipotesi in cui tale qualificazione potrebbe incidere sull'interpretazione della domanda è forse quella in cui le esigenze di tutela fatte valere siano strettamente ed indissolubilmente legate ad un determinato titolo giuridico piuttosto che ad un altro.
In concreto, a mero titolo di esempio, e senza volerci addentrare in un indagine piuttosto complessa, si potrebbe ipotizzare il caso in cui si chieda la dichiarazione di nullità di un determinato negozio perché la nullità è l'unico mezzo cui l'ordinamento ricollega l'effetto voluto: ove l'azione di risoluzione fosse per qualche motivo prescritta o la parte voglia far dichiarare la nullità del contratto quadro per estendere gli effetti della pronuncia anche ad altre operazioni o rapporti in qualche modo ad esso collegati.19 Altra ipotesi, per rimanere in tema di questioni aventi attinenza con l'intermediazione finanziaria, potrebbe essere quella in cui la parte intenda chiaramente evitare gli oneri probatori connessi all'azione contrattuale o risarcitoria, in considerazione del fatto che la dichiarazione di nullità apre le porte alle restituzioni.

3. L'applicazione dell'art. 31 del Regolamento all'operatore qualificato persona giuridica: il dibattito di dottrina e giurisprudenza.
La problematica di maggior interesse affrontata dalla decisione in commento è tuttavia quella relativa all'interpretazione dell'art. 31 del reg. Consob n. 11522/98, ove dispone che, ai fini dell'applicazione dello speciale regime ad essi riservato dal primo comma del citato articolo, sono considerati operatori qualificati, oltre a quelli cd. di diritto, anche le società e le persone giuridiche in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante.20
Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale sull'interpretazione di questa norma è ancor oggi molto acceso e contrastato. L'applicazione della disposizione comporta invero effetti di notevole rilievo sul piano della tutela dell'investitore, in quanto consente all'intermediario di interagire con gli operatori qualificati senza applicare buona parte delle norme poste dal regolamento a tutela degli investitori, norme di pregnante rilevanza quali quelle che regolano i doveri informativi e di comportamento che di fatto caratterizzano l'essenza dello speciale statuto di tutela del cliente.21
Mentre, infatti, la Consob, nell'emanare la normativa di dettaglio, ha ritenuto ragionevole che SGR, SICAV, fondi pensione, compagnie di assicurazione, emittenti di strumenti finanziari quotati, promotori finanziari, amministratori e sindaci di società di intermediazione mobiliare e fondazioni bancarie non necessitassero, in considerazione della loro effettiva esperienza,
di alcuna tutela, notevoli perplessità ha suscitato la norma in esame nella parte in cui tende ad equiparare ai soggetti di cui sopra anche qualsiasi società o persona giuridica che semplicemente dichiari di avere esperienza in strumenti finanziari.
La soluzione dei problemi posti da questa scelta operata dall'organo di vigilanza ha diviso la dottrina e la giurisprudenza. Da una parte troviamo coloro i quali affermano che la dichiarazione resa per iscritto dal legale rappresentante della società o persona giuridica è di per sé sufficiente ad inquadrare il cliente come operatore qualificato ed a sollevare quindi l'intermediario da ogni ulteriore indagine al riguardo.22 Dall'altra parte vi è chi ritiene che l'intermediario che riceve la dichiarazione debba invece verificare se la società sia effettivamente in possesso della conoscenza ed esperienza dichiarate dal suo legale rappresentante.23
I primi fondano la propria opinione essenzialmente su due elementi: i) il tenore letterale dell'art. 31, secondo il quale l'intermediario può classificare la persona giuridica cliente come operatore qualificato sulla base della dichiarazione in tal senso resa dal legale rappresentante (...specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante); ii) la considerazione che non appare ragionevole onerare l'intermediario dell'indagine volta ad appurare caso per caso il reale possesso ed il livello della conoscenza ed esperienza dichiarate.24 Alla base della scelta effettuata dall'organo di vigilanza di sollevare l'intermediario da tale onere vi sarebbe la constatazione che chi rappresenta la società è un soggetto che «si presenta oggettivamente (per la carica) e soggettivamente (per la dichiarazione in sé) come del tutto consapevole dei rischi insiti nell'operazione».25 Ed è proprio su questa presunta consapevolezza che la Consob si sarebbe basata allorché, mediante l'art. 31 del regolamento, ha graduato i doveri degli intermediari in modo tale da tener conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori e della loro esperienza professionale.26
A questa linea di pensiero si contrappone quella di chi non accetta di soffermarsi alla lettera della norma ed afferma che la disposizione deve essere letta ed interpretata nel contesto dei principi che ispirano il TUF, quali quelli di buona fede e correttezza, che impongono di evitare dichiarazioni formali che non corrispondono ad una effettiva condizione del soggetto,27 e quello per cui l'intermediario deve operare «sempre e comunque nella piena consapevolezza delle caratteristiche dell'investitore».28 L'intermediario sarà quindi tenuto a verificare che il cliente sia veramente in possesso di quella conoscenza ed esperienza che consentono di catalogarlo come operatore qualificato e non potrà ritenersi esonerato dall' effettuare tale verifica per il solo fatto che il legale rappresentante della società ha rilasciato quella che è stata definita una dichiarazione "autoreferenziale".29 Questa dichiarazione non potrà, quindi, limitarsi a ripercorrere il testo dell'art. 31 del regolamento, dovendo invece allegare e riportare elementi circostanziati dai quali sia possibile dedurre che il contraente sia effettivamente in grado di comprendere la natura del negozio sottoscritto.30
E' stato anche osservato che la pura e semplice affermazione di essere in possesso della specifica esperienza, così come concepita dalla norma, non è in alcun modo idonea a fornire all'intermediario le informazione necessarie per classificare l'investitore. Una simile dichiarazione non contiene, infatti, alcun elemento che consenta di valutare l'esperienza del cliente. Essa contiene solo un "giudizio", una mera valutazione espressa dal legale rappresentante, il quale afferma che, a suo parere, la società è esperta. Un simile atto non solo non è in grado di fornire elementi utili alla classificazione del cliente ma neppure può produrre alcun effetto giuridico e tanto meno negoziale. Secondo questa opinione, la dichiarazione si risolve allora in una rinuncia implicita alle tutele previste dalla legislazione speciale, rinuncia che il cliente non è in grado di effettuare perché non dispone delle conoscenze che gli permettono di valutarne gli effetti e perché l'intermediario non «accompagna la sua richiesta con una adeguata indicazione della effettiva portata delle conseguenze» che ne derivano sul piano della tutela. 31

4. segue: la scelta interpretativa operata dalla sentenza in commento
Il Tribunale affronta con decisione il problema dell'interpretazione dell'art. 31 del Regolamento affermando, in primo luogo, che la formulazione della norma è tale per cui la qualifica di operatore qualificato deve essere applicata a coloro che posseggono effettivamente una specifica conoscenza ed esperienza.
Osservano infatti i giudici che tutte e tre le categorie di soggetti presi in considerazione dalla disposizione si caratterizzano per il possesso di una esperienza effettiva. Ad un primo livello si collocano coloro che operano professionalmente nel settore finanziario ed assicurativo (intermediari, SICAV, SGR ecc.), ai quali la qualifica di operatore qualificato si applica "in automatico". Ad secondo livello vi sono le persone fisiche, promotori finanziari e coloro che hanno svolto funzioni di amministrazione e controllo in società di intermediazione mobiliare: a questi soggetti la definizione di operatore qualificato può applicarsi solo ove i suddetti requisiti siano adeguatamente documentati. In entrambi i casi «la competenza in materia finanziaria è derivazione della loro attività professionale nel settore finanziario».32
Per quanto riguarda il terzo gruppo, la sentenza afferma che si tratta di soggetti per i quali la qualifica in questione discende non dalla professione svolta, bensì dal fatto di avere già una determinata, specifica, competenza ed esperienza in materia finanziaria; si tratta, dice il collegio, di «un elemento qualificante la persona giuridica o la società che deriva dalla sua esperienza». Il Tribunale afferma poi che, come nei primi due casi esaminati, anche in quest'ultimo l'elemento qualificante l'investitore deve «evidentemente preesistere» e poiché si tratta di un elemento che rientra nella sfera di conoscenza del soggetto che si accinge ad operare, la dimostrazione della sua esistenza viene data con un dichiarazione scritta del legale rappresentante.
In conclusione, la dichiarazione avrebbe la funzione di sollevare l'intermediario dall'onere della prova in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per la qualifica di cui si discute. Sul punto, il Tribunale ribadisce che la valutazione della specifica conoscenza ed esperienza è rimessa dalla legge espressamente al legale rappresentante della società e giammai
all'intermediario, il quale non potrà di certo essere chiamato ad indagare sull'effettiva esistenza dell'esperienza dichiarata, non prescrivendo la legge in alcun modo tale onere.
Ma è proprio su questo delicato punto che la sentenza introduce un elemento di assoluta novità, un elemento che concorre a formare nel legale rappresentante, nella persona fisica che rilascia a nome dell'ente rappresentato la dichiarazione, un fattore di maggiore consapevolezza in ordine al contenuto e soprattutto agli effetti che la dichiarazione comporta.
La sentenza afferma infatti che, nel caso specifico sottoposto al suo giudizio, la società, anziché basare la censura al comportamento dell'intermediario sull'omessa verifica dell'esperienza dichiarata, avrebbe invece dovuto dedurre di non essere stata adeguatamente informata «del significato della dichiarazione e delle conseguenze che da essa ... derivano in termini di minore protezione ...».
Si legge nella decisione che l'art. 21, comma 1, lett a) del TUF prescrive a carico dell'intermediario doveri di carattere generale che devono essere osservati anche quando la controparte è un operatore qualificato.
La pronuncia, poi, definisce con precisione il contenuto dell'informazione ed il tipo di diligenza che in questa particolare situazione deve essere prestata dall'intermediario: questi deve, come detto, informare il cliente delle conseguenze in termini di protezione e di informazione che la dichiarazione comporta e deve altresì accertarsi che la controparte abbia compreso l'avvertimento.
L'intermediario, in sostanza, in questa prima fase del rapporto, deve informare la controparte che si appresta ad essere trattata come operatore qualificato che questa sua condizione la priva delle informazioni e delle protezioni previste dalla legge a tutela dei normali investitori, e tale informazione, sottolinea la sentenza, deve essere data «in termini di assoluta trasparenza e correttezza».
I principi affermati in questa parte della decisione sono, a mio modesto parere, di notevole rilievo. Affermare che l'informazione deve essere data in termini di assoluta trasparenza e correttezza e che l'intermediario deve accertarsi che la controparte abbia ben compreso la portata e le conseguenze della dichiarazione che lo porta ad essere trattato come controparte qualificata, significa affermare e tradurre in concreto, in un momento cruciale del rapporto, un principio che costituisce uno dei cardini sui quali si impernia la legislazione in materia finanziaria.
Trasparenza e correttezza dovranno quindi essere reali e non solo formali. L'intermediario non potrà accontentarsi di informare il cliente mediante moduli standardizzati ma dovrà accertarsi che questi abbia compreso l'avvertimento e le conseguenze che derivano dalla sua scelta. E per meglio definire un criterio di concreta e reale trasparenza e correttezza, la decisione afferma che ove l'intermediario sia convinto che il cliente abbia compreso l'avvertimento, potrà fare a meno di verificare la reale esistenza della specifica competenza ed esperienza.
Ciò che in sostanza rileva in questa delicata fase informativa non è la corrispondenza tra il contenuto della dichiarazione e l'esperienza posseduta dal cliente ma la consapevolezza in capo a questi della portata della dichiarazione, così che egli, nel caso non possegga l'esperienza dichiarata, sia almeno conscio del fatto che la sua condizione di ignoranza lo espone a rischi
rilevanti dovuti al fatto che l'intermediario con cui interagisce non sarà tenuto a proteggerlo ed a sorvegliare gli effetti della scelta operata.
Ulteriore elemento di rilievo ci pare poi l'affermazione per cui l'intermediario che abbia agito nel modo descritto non è tenuto a verificare la reale esperienza del cliente a meno che «non fosse del tutto evidente che la società o persona giuridica ignorava completamente il settore finanziario». Anche questa affermazione non è priva di conseguenze.
Ciò cui la decisione pare fare riferimento con la locuzione ignorava completamente il settore finanziario è cosa diversa dalla mancanza di specifica competenza ed esperienza in strumenti finanziari dell'art. 31. L'elemento indicato dalla norma, utilizzato per equiparare la società o persona giuridica ai professionisti del settore presi in esame dalla prima parte dell'articolo, è, infatti, molto di più una qualsiasi generica conoscenza del settore finanziario.
La locuzione si riferisce espressamente e distintamente a conoscenza e ad esperienza e riferendosi al primo di essi (o forse ad entrambi?) la norma aggiunge l'aggettivo specifica. Anche ad una analisi superficiale dei termini utilizzati, appare evidente che non viene presa in considerazione una semplice conoscenza di strumenti finanziari bensì il fatto che il cliente abbia con essi una concreta esperienza, abbia cioè già posto in essere operazioni con strumenti analoghi a quelli con i quali si accinge ad operare dopo aver informato l'intermediario delle proprie capacità. A questo, infatti, ci pare possa essere riferito il termine «specifica», ad una conoscenza ed esperienza di strumenti finanziari che non potrà essere soltanto generica ma particolare appunto perché riferita ad un determinato strumento o quanto meno ad una determinata tipologia di strumenti.
Ecco allora che, ci pare correttamente, il Tribunale afferma che l'intermediario non è tenuto a verificare l'effettiva conoscenza ed esperienza «sempre che non fosse del tutto evidente che la società o persona giuridica ignorava completamente il settore finanziario». Appare evidente infatti che qualora l'intermediario, che, lo ricordiamo, deve agire con reale e non solo formale trasparenza e correttezza, disponga di informazioni che contraddicano in modo palese il contenuto della dichiarazione e facciano pensare che il soggetto, che si appresta ad essere classificato come operatore qualificato al pari di SIM e promotori finanziari, addirittura ignori completamente il settore finanziario, ecco allora che l'intermediario avrà il dovere di non tenere in
considerazione la dichiarazione e dovrà invece approfondire la reale consapevolezza del soggetto che si accinge ad assumere rischi del tutto particolari.
Fermo restando che, come regola generale, l'intermediario non è tenuto a verificare l'esperienza del cliente, pur tuttavia egli non potrà ignorare segnali che siano fortemente indicativi di una condizione di ignoranza del settore finanziario tale da impedire al cliente di capire che quella condizione non gli consente di comprendere gli effetti dell'opzione ed i rischi cui si espone.
A completare il quadro di questa impostazione, la sentenza, nel ribadire che, nel caso specifico, la società avrebbe dovuto dedurre di non essere stata informata, sottolinea che tale deduzione doveva essere accompagnata dalla indicazione di elementi tali da far ritenere che «la banca non avrebbe potuto fare affidamento sulla sua dichiarazione».
Ci pare quindi di poter affermare che, secondo la sentenza in commento, la dichiarazione prevista dall'ultima parte dell'art. 31 del regolamento, con la quale una società o persona giuridica dichiara di avere specifica conoscenza ed esperienza dei mercati finanziari, è idonea a sollevare l'intermediario dall'onere di verificare l'effettiva esistenza dell'esperienza dichiarata a condizione che: i) l'intermediario abbia prima informato il legale rappresentante che la società non godrà delle tutele informative che spettano ai normali investitori e dell'entità dei rischi che conseguono a tale rinuncia; ii) l'intermediario, usando la correttezza, la diligenza e la trasparenza cui è tenuto in base ai principi generali che informano il TUF e la legislazione in materia di intermediazione finanziaria, si sia accertato che la persona che rappresenta la società abbia ben compreso le conseguenze in termini di minore informazione e protezione che derivano dalla dichiarazione e dall'essere classificato quale operatore qualificato; iii) da elementi a disposizione dell'intermediario non appaia evidente l'incapacità della persona che rilascia la dichiarazione a comprenderne la portata e non sia quindi consapevole degli effetti che comporta: in questo caso, e solo in questo, l'intermediario sarà tenuto ad indagare sulla effettiva esperienza del cliente.
A conclusione di questo paragrafo, ci pare di poter affermare che la soluzione adottata dai giudici milanesi è coerente con la premessa dagli stessi posta prima di affrontare la questione, ben espressa dall'affermazione che «pur non condividendo l'interpretazione più formalistica data alla norma in esame [art. 31 reg.] ... [il Tribunale] non ritiene neanche che l'intermediario debba procedere a penetranti verifiche sulla sussistenza della specifica competenza ed esperienza nel settore finanziario».
Riposta dunque ogni interpretazione che tende a far discendere dalla dichiarazione ex art. 31 l'applicazione automatica della qualifica di operatore qualificato in capo a qualsiasi società, il baricentro dell'attenzione si sposta sull'effettività e l'efficacia dell'informazione che l'intermediario deve dare al cliente per porlo in condizione di comprendere le conseguenze della sua scelta.

5. Doveri informativi, integrazione delle norme regolamentari e ipotesi di incostituzionalità dell'art. 31 del Regolamento n. 11522/98
Viene da chiedersi se l'operazione ermeneutica operata dall'interessante pronuncia milanese possa essere spiegata con un diverso modo di interpretare la disposizione dell'art. 31, alla luce dei principi generali che informano la materia, o se la strada imboccata presupponga piuttosto la disapplicazione di quella parte della norma che esonera l'intermediario dall'informare il cliente che si dichiari esperto in strumenti finanziari.
Non si deve, infatti, dimenticare che l'art. 31 espressamente dispone che agli operatori qualificati non deve essere applicata la maggior parte delle norme poste dal regolamento a tutela degli investitori, tra le quali spicca l'art. 28 che detta nel dettaglio la modalità di scambio di informazioni tra intermediari e investitori.
Una prima ipotesi interpretativa potrebbe essere quella secondo la quale i particolari doveri informativi indicati dalla sentenza - quelli aventi ad oggetto l'avvertimento al legale rappresentante in ordine agli effetti dell'attribuzione della qualifica di operatore qualificato - siano del tutto peculiari e limitati alla fase del rapporto nella quale l' intermediario opera la classificazione del cliente società o persona giuridica.
Seguendo questa via, si potrebbe affermare che, una volta riconosciuto e classificato il cliente come soggetto qualificato, nelle fasi successive del rapporto potranno essere legittimamente applicate le altre disposizioni del regolamento che esonerano l'intermediario dai doveri informativi e di protezione.
L'informazione che deve essere data al legale rappresentante opererebbe quindi su un piano diverso e in momento precedente a quello che caratterizza l'operatività vera e propria, in un momento quindi anteriore anche alla stipula del contratto quadro, con la conseguenza che le disposizioni dell'art. 31 del regolamento seguiterebbero ad applicarsi una volta che il soggetto sia stato inquadrato tra gli operatori qualificati.
La regola indicata dalla sentenza riguarderebbe quindi solo il metodo che l'intermediario deve seguire per classificare il cliente. E tale regola informativa trarrebbe fondamento e legittimazione dai principi generali in materia finanziaria, tra i quali primeggia quello contenuto nell'art. 21 lett. b) che impone all'intermediario di «operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati».
Se gli intermediari devono far sì che i clienti siano sempre adeguatamente informati, allora, parrebbe logico e ragionevole sostenere che essi debbano essere informati anche e soprattutto quando, per effetto di una dichiarazione il cui rilascio dipende da un loro atto di volontà, si apprestano ad operare in una condizione che la normativa speciale di settore considera assolutamente eccezionale perché potenzialmente molto rischiosa.
La soluzione sui approda la decisione in commento, è, a mio parere, la più equilibrata e rispettosa del dettato normativo perché consente di fare applicazione dei principi generali di correttezza e trasparenza mediante l'informazione data anche in questo particolare momento, nel quale intermediario e persona giuridica si apprestano a derogare allo statuto dell'investitore.
La correttezza di questa impostazione potrebbe tuttavia poggiare anche sulla considerazione che ove si procedesse ad una interpretazione puramente letterale dell'art. 31, si finirebbe per equiparare le persone giuridiche agli investitori qualificati semplicemente sulla scorta di una dichiarazione resa dal legale rappresentante, con la conseguenza che con una semplice clausola contrattuale tutte le società indistintamente verrebbero private di ogni tutela informativa.
La soluzione adottata permette di porre rimedio, almeno parzialmente, a questo problema.
Se l'art. 31 venisse applicato senza questa cautela informativa, senza cioè l'avvertenza relativa alle conseguenze ed agli effetti della dichiarazione, dovremmo concludere che l'organo di vigilanza, allorché ha emanato la norma in questione, ha considerato che società ed enti siano sempre investitori esperti per il solo fatto di avere una struttura con personalità giuridica e siano anche in grado di comprendere le conseguenze derivanti dalla classificazione nella categoria degli operatori qualificati.
Se tuttavia un simile ragionamento può essere valido per società che dispongono di un servizio di tesoreria paragonabile a quello previsto per le SIM, altrettanto non può dirsi per tutte le altre società che operano in settori che non richiedono una complessa struttura organizzativa e contabile e che comunque non operano professionalmente nel settore finanziario. Affermare che un cliente non ha diritto di essere informato per il solo fatto di essere una società ed indipendentemente dal possesso dei requisiti che caratterizzano i soggetti presi in considerazione dalla prima parte dell'art. 31 del Regolamento, espone l'assunto alla critica di illogicità e irragionevolezza, con tutte le conseguenze che ne possono derivare in termini di probabile incostituzionalità della norma.
Appare infatti illogico, irragionevole e contrario all'art. 3 della Costituzione prevedere una tutela informativa ed in genere uno statuto di protezione dell'investitore da applicarsi in modo generalizzato a tutti i soggetti ed escludere da tale protezione le società e le persone giuridiche indipendentemente dal tipo di attività svolta e da qualsiasi considerazione sulla loro conoscenza dei mercati finanziari.
Una simile norma si baserebbe, infatti, su un dato di fatto errato e cioè sulla considerazione che tutte le società ed i soggetti con personalità giuridica sono per ciò solo muniti di cognizioni superiori a quelle degli altri investitori ed in grado pertanto di comprendere le conseguenze dell'opzione che li colloca tra gli operatori qualificati.
Quel che in pratica si vuol sostenere è che non corrisponde al vero che alla personalità giuridica corrisponda sempre e necessariamente una conoscenza dei mercati finanziari adeguata ad effettuare la scelta di essere trattati come operatori qualificati e che una tale scelta, per poter essere definita consapevole, deve essere preceduta quanto meno da una informazione data con correttezza e trasparenza da chi, come l'intermediario, dispone delle conoscenza e degli strumenti necessari per informare il cliente e, come giustamente afferma la sentenza di Milano, di rendersi conto se questi abbia adeguatamente compreso l'avvertimento.
Se non è vera l'equazione persona giuridica uguale a soggetto esperto in mercati finanziari, allora la norma contenuta nell'art. 31 è viziata da un errore logico ed è pertanto irragionevole e contraria al principio costituzionale di eguaglianza perché non assicura a molti soggetti che sicuramente esperti non sono la stessa protezione che prevede invece come regola generale per gli altri investitori.

6. Conclusioni
Dal punto di vista sistematico, mi pare dunque che la scelta del Tribunale di Milano possa essere valorizzata sotto due profili.
Il primo si fonda sull'applicazione della clausola generale contenuta nell'art. 21 del TUF, secondo la quale gli investitori, tutti gli investitori, devono essere sempre adeguatamente informati.
L'art. 31 è stato emanato dalla Consob in forza della deroga alla riserva relativa di legge contenuta nell'art. 6, comma 2 del T.U.F.33, per cui la normativa primaria (il T.U.F.) e quella secondaria (il Regolamento) hanno entrambe efficacia di norme di legge e devono essere considerate un corpus unicum e configurano un regime multiforme sempre aperto alla concreta regolamentazione di funzionamento del mercato deliberata dalla Consob tenendo conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l'esperienza dei medesimi.34
Le norme del T.U.F. sono, poi, immediatamente e direttamente applicabili anche nelle parti in cui si presentano come generiche ed anche in presenza di disposizioni regolamentari emanate dalla Consob.35 Dal che si deduce - e sul punto la dottrina appare concorde - che le regole di condotta elaborate dall'organo di vigilanza completano e non esauriscono la disciplina normativa, così che principi di carattere generale quali i doveri di informazione, trasparenza, correttezza e buona fede possono essere di volta in volta adattati al caso concreto.
E' stato pure sostenuto che, in caso di contrasto tra le norme del TUF e quelle del regolamento, le prime dovranno prevalere sulle seconde36 e che l'interprete di queste dovrà fare in modo che la loro applicazione sia conforme alle disposizioni di rango legislativo alla cui esecuzione le stesse sono preordinate.37
Se quindi le regole di dettaglio dettate dalla Consob mediante i regolamenti non esauriscono il catalogo delle misure informative che gli intermediari devono adottare a tutela degli investitori, possiamo sostenere la correttezza dell'operazione ermeneutica del Tribunale milanese che, in applicazione dei principi generali più volte ricordati, tra i quali primeggia il dovere dell'intermediario di informare l'investitore, ha individuato una carenza del regolamento n. 11522/98 ove, all'art. 31, non prevede che il cliente società o persona giuridica, prima di optare per il trattamento riservato agli operatori qualificati, debba essere adeguatamente informato.
In secondo luogo, ci pare sia opportuno osservare che se ci si dovesse limitare ad una interpretazione eccessivamente formale dell'art. 31 del regolamento e non si dovesse ritenere necessaria o comunque possibile l'integrazione delle norme del regolamento con quelle del TUF, o si affermasse addirittura che la disposizione dell'art. 31, così come formulata, esclude la necessità che l'intermediario dia l'informazione preliminare di cui si è detto, il giudice potrebbe allora disapplicare la norma perché viziata da incostituzionalità.
Nonostante in dottrina ed anche in giurisprudenza vi sia divergenza di opinioni sulla possibilità di sottoporre a sindacato di costituzionalità i regolamenti aventi forza pari a quella delle leggi ordinarie,38 non sembra infatti vi siano dubbi sul fatto che il giudice ordinario possa (debba) limitarsi a disapplicare la norma regolamentare che ritenga incostituzionale39, essendo il controllo di legittimità, in tale ipotesi, esercitato in forma «diffusa» dai giudici comuni in via incidentale e con effetti circoscritti al caso deciso.40









1) Trib. Milano 15 ottobre 2008, in www.ilcaso.it, I, 1413.
2) L'interest rate swap - IRS è un contratto che prevede lo scambio periodico, tra due operatori, di flussi di cassa aventi la natura di "interesse" calcolati sulla base dei tassi di interesse predefiniti e differenti e di un capitale teorico di riferimento. Il compratore del contratto swap versa gli interessi al tasso fisso, mentre il venditore versa quelli con tasso variabile. L'esito del contratto è dato dalla differenza dei flussi interesse. Quindi, se i tassi di interesse aumentano rispetto al tasso fisso pattuito, trarrà un guadagno colui che è tenuto a versare gli interessi al tasso fisso (compratore, versa interessi a tasso fisso ma riceve quelli a tasso variabile nel frattempo cresciuti); viceversa, se i tassi diminuiscono trarrà un guadagno colui che è tenuto a versare l'interesse a tasso variabile (venditore). L'incognita che determina il rischio è quindi costituita dalla futura variazione dei tassi: il compratore di swap scommette e prevede che i tassi aumentino, mentre il venditore prevede che diminuiscano. I contratti prevedono normalmente uno spread che fissa la differenza tra i due tassi.
3) Si tratta del regolamento n. 11522/1998, applicabile ratione temporis alla fattispecie. In seguito all'avvento della MIFID la Consob, con delibera del 29 ottobre 2007, n. 16190, in vigore dal 2 novembre 2007, ha varato il cd. "Nuovo Regolamento Intermediari".
4) Sulle conseguenze della violazione degli oneri informativi e di comportamento da parte dell'intermediario si segnalano Cass. civ.. 29 settembre 2005, n. 19024; in Giust. Civ. 2006, 1526; Foro It. 2006, 1105, con nota di E.SCODITTI; Giur. comm., 2006, 426, con nota di SALODINI; ROPPO, La tutela del risparmiatore tra nullità, risoluzione e risarcimento, in Cont. e imp., 2005, 296. Sul tema sono quindi intervenute le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la sentenza 19 dicembre 2007, n. 26724, la quale ha affermato che alla violazione dei doveri di comportamento dell'intermediario non possa essere applicata la sanzione della nullità bensì quella dell'inadempimento. La decisione è reperibile in Foro it., 2008, I, 784, con nota di E.SCODITTI, La violazione delle regole di comportamento dell'intermediario finanziario e le sezioni unite; in Giust. Civ. 2008, 1175, con nota di NAPPI; in Giur. Comm., 2008, 604, con nota di BRUNO-ROZZI. Sull'argomento si segnalano anche: D.MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi di investimento: Le sezioni unite e la notte (degli investitori) In cui tutte le vacche sono nere, in www.ilcaso.it, II, 97; F.SARTORI, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, (S.u.) 19 dicembre 2007, n. 26725, Ivi, II, 97; A.A.DOLMETTA, Strutture rimediali per la violazione di «obblighi di fattispecie» da parte di intermediari finanziari (con peculiare riferimento a quelli di informazione e di adeguatezza operativa) Ivi, II, 83; D.MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, Ivi, II, 80.
5) Nella sentenza milanese si cita Cass. Civ., Sez. II, 12 ottobre 2007, n. 21487. Sul punto v. anche Cass. Civ., 20 giugno 2008, n. 16809: "Il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall'art. 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa - alla stregua delle risultanze istruttorie - autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante". Nello stesso senso Cass. civ., sez. lav., 16 aprile 2008, n. 9988; Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2007, n. 26514; Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2007, n. 24141; Cass. civ., sez. lav., 17 settembre 2007, n. 19331; Cass. civ., sez. I, 11 settembre 2007, n. 19090, con nota di RENDA, in Foro it., 2008, 1966; Cass. civ., sez. I, 12 aprile 2006, n. 8519, in Foro it., 2007, 3228.
6) Cass. sez. un. civ. 19 dicembre 2007, n. 26724, cit.
7) Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2008, n. 5743, in Juris data, la quale ha ricordato che "...questa Corte ha ripetutamente affermato che la domanda giudiziale deve essere interpretata non solo nella sua formulazione letterale, ma anche, e soprattutto, nel suo sostanziale contenuto e con riguardo alle finalità che la parte intende perseguire..."
8) Per un rinvio ai canoni interpretativi degli artt. 1362 ss. c.c., C.CONSOLO, Domanda giudiziale, in Digesto, Disc. priv., sez. civile, VII, Torino, 1991, p. 53; C.MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Torino, 1998, I, p. 93.
9) C.CONSOLO, Domanda giudiziale, in Digesto, Disc. priv., sez. civile, VII, Torino, 1991, p. 53
ass. 3 aprile 1985, n. 2274, in Rep. giur. it., 1985, v. Procedimento civile, n. 208, ivi citata.
10) Cfr. Cass. 30 giugno 1999, n. 379; Cass. 8 luglio 1998, n. 6626, in Foro it., 1998, I, 3571.
11) Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2008, n. 12378.
12) L'importanza del principio generale e consolidato della prevalenza della sostanza sulla forma spiega i suoi effetti anche nella individuazione del provvedimento impugnabile, nel senso che l'impugnabilità della pronuncia dipende anche dalla qualificazione della domanda operata dal giudice, così Cass. 11 dicembre 2007, n. 25837; App. Bari, 15 settembre 2006, n. 818, in www.giurisprudenzabarese.it; Cass. 27 luglio 2006, n. 17098; Cass. 22 marzo 1999, n. 2675; Cass. 3 dicembre 1996, n. 10771; Cass. 13 agosto 1996, n. 7503; Cass. 1 febbraio 1996, n. 848, in Giust. Civ., 1997, I, 1, 218; Cass. 30 maggio 1995, n. 6072; Cass. 22 ottobre 1992, n. 11531, in Giur. it., 1994, I, 1, 310; Cass. 28 giugno 1989, n. 3138; Cass. 14 maggio 1991, n. 5370, in Foro it. 1992, I, 1868; Cass. 6 giugno 1988, n. 3802; Cass. 22 novembre 1984, n. 6019, in Giust. Civ., 1985, I, 1714; Foro it. 1985, I, 748; Cass. 13 gennaio 1981, n. 289; Cass. 4 dicembre 1981, n. 6428; Cass. 8 giugno 1981, n. 3678, in Giust. Civ. 1981, I, 1899; Foro it. 1981, I, 2738.
13) L'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 ha modificato l'art. 111 della Costituzione introducendo i commi primo e secondo: Art. 111. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge./ Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. (omissis).
14) Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili 18 dicembre 2007, n. 26619 - Pres. Carbone, Rel. Morelli, in Foro it., 2008, 803, con osservazione di PERRINO e in www.ilcaso.it, I, 1089: "La conservazione degli effetti sostanziali della dichiarazione di fallimento proveniente da giudice incompetente si rivela più "adeguata" sia in relazione all'obiettivo della "ragionevole durata del processo" - con il quale sarebbe meno compatibile la prospettiva della riapertura ex novo della procedura innanzi al secondo tribunale -, sia in relazione alla garanzia del processo "giusto", quale è quello articolato in modo da garantire una risposta coerente ed adeguata alle esigenze di tutela fatte valere con l'atto che vi ha dato impulso."
15) La Corte è giunta a questa conclusione dopo aver constatato che la soluzione contraria, quella cioè dell'azzeramento della procedura fallimentare iniziata a seguito della dichiarazione di fallimento resa da giudice incompetente, avrebbe privato di ogni tutela i creditori, sterilizzando gli effetti delle azioni revocatorie, ed avrebbe perciò evidenziato una stortura dei meccanismi processuali ed in definitiva una inefficienza del sistema che si sarebbe rivelato inadeguato a dare una risposta alle esigenze di tutela e ad interessi tutelati dall'ordinamento fatti valere con l'atto che ha dato impulso al procedimento. Per una approfondita disamina delle questioni trattate nel processo si rimanda a B.INZITARI, Dichiarazione di fallimento, incompetenza, decorrenza degli effetti sostanziali e giusto processo, in www.ilcaso.it, II, 89; sul punto anche F.BENASSI, Conservazione degli effetti della sentenza di fallimento emessa da tribunale incompetente e giusto processo, Ivi, II, 93.
16) cit
17) S.SATTA, Domanda giudiziale, in Enc. Dir., XIII, Milano, p. 825.
18) Cass. Civ., 20 giugno 2008, n. 16809, cit.
19) S.SATTA, Domanda giudiziale, in Enc. Dir., cit., il quale afferma appunto che «rilevantissimo diventa il titolo giuridico quando esso sia il solo che giustifichi una determinata domanda. Ogni richiamo ad altro titolo diventa allora mutamento di domanda anche perché necessariamente si accompagna a mutamento del petitum»
20) Art. 31 (Rapporti tra intermediari e speciali categorie di investitori)
1. A eccezione di quanto previsto da specifiche disposizioni di legge e salvo diverso accordo tra le parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e 3, 32, commi 3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1, lettera d), 38, 39, 40, 41, 42, 43, comma 5, lettera b), comma 6, primo periodo, e comma 7, lettere b) e c), 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62.
2. Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d'origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, i promotori finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante.
21) Tra le norme del Regolamento che non trovano applicazione nei rapporti dell'intermediario con le controparti qualificate spiccano quelle relative al conflitto di interessi (art. 27), alle informazioni tra gli intermediari e gli investitori (art. 28), alle operazioni non adeguate (art. 29), alla forma scritta dei contratti con gli investitori (art. 30, co. 1), al contenuto obbligatorio dei contratti (art. 30, co. 2) e molte altre sulla gestione dei portafogli.
22) Si sono pronunciati per l'autosufficienza della dichiarazione resa dal legale rappresentante: Trib. Milano 3 aprile 2004, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, I, 36; App. Milano, 12 ottobre 2007, in Giur. It., 2008, 1164 e in www.ilcaso.it, I, 1013; Trib. Forlì 11 luglio 2008, ivi, 1390; Trib. Venezia 25 ottobre 2007, ivi, I, 1120; Trib. Milano 2 aprile 2004, ivi, I, 668; Trib. Milano, 20 luglio 2006, ivi, I, 1014; Trib. Isernia 22 maggio 2005, ivi, 1394; Trib. Rimini, 25 marzo 2005, ivi, I, 200; Trib. Milano, 6 aprile 2005, ivi, I, 56; Trib. Mantova, 12 luglio 2004, ivi, I, 681. In dottrina, sulla stessa linea: F.BRUNO, Derivati OTC e incomprensibile svalutazione dell'autocertificazione del legale rappresentante della società acquirente, in Corr. del merito, 2008 e in www.ilcaso.it, II, 129; BOCHICCHIO, Operatività in strumenti derivati con investitore professionale: i limiti apportati dalla normativa di settore e dall'oggetto sociale dell'investitore, in Dir. banca int. fin., 2005, 249 e segg.
23) App. Milano, 13 novembre 2008, in www.ilcaso.it, I, 1451; App. Venezia, 16 luglio 2008, in ivi, I, 1329; Trib. Vicenza, 12 febbraio 2008, in Giur. It., 2008, 2235; Trib. Rovigo, 3 gennaio 2008, in Giur. It., 2008, 2235; Trib. Torino, 18 settembre 2007, in Giur. It., 2008, con nota di MOTTI, L'attestazione della qualità di operatore qualificato nelle operazioni in strumenti derivati fra banche e società non quotate; Trib. Novara, 18 gennaio 2007, in Banca, borsa e tit. cred., 2008, II, 57, con nota di LEMMA, L'operatore qualificato nelle operazioni in derivati; Trib. Verona, 22 giugno 2007, in Contratti, 2007, 1093. In dottrina, sulla stessa linea: CHIONNA, L'accertamento della natura di «operatore qualificato» del mercato finanziario rispetto ad una società, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 36; INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di B.INZITARI, 2008, Padova, p. 85 ss.; SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004, 168; Id. Gli swap, i clienti corporate e la nozione di operatore qualificato, in www.ilcaso.it, II, 33; P.FIORIO, La nozione di investitore qualificato per l'investitore persona giuridica, in Giur. It., 2008, 2241; Gabrielli-Lener, Mercati, strumenti finanziari e contratti di investimento, in AA. VV.; I contratti del mercato finanziario, a cura di Gabrielli, Lener, I, Milano, 45-49.
24) Trib. Venezia 25 ottobre 2007, in www.ilcaso.it, I, 1120.
25) F.BRUNO, Derivati OTC e incomprensibile svalutazione dell'autocertificazione del legale rappresentante della società acquirente, cit., p. 9.
26) Art. 6, comma 2, TUF: La CONSOB, sentita la Banca d'Italia, tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l'esperienza professionale dei medesimi, disciplina con regolamento: a) le procedure, anche di controllo interno,... b) il comportamento da osservare nei rapporti con gli investitori...c) gli obblighi informativi... . F.BRUNO, Derivati OTC e incomprensibile svalutazione dell'autocertificazione del legale rappresentante della società acquirente, cit., p. 8.
27) Così SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., p. 168; Trib. Milano, 21 febbraio 1995; CHIONNA, L'accertamento della natura di «operatore qualificato» del mercato finanziario rispetto ad una società, cit., il quale afferma che l'attenersi alla interpretazione letterale della norma comporta il rischio di vedere attribuita l'importante qualifica di operatore qualificato (con tutte le conseguenze che comporta) a qualsiasi socie commerciale solo e soltanto sulla base di un dato astratto e formale, senza l'effettiva verifica di alcun elemento sostanziale e ciò sulla scorta di una generica dichiarazione del legale rappresentante resa su un documento predisposto in via unilaterale e standardizzata dalla banca.
28) INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di B.INZITARI, cit., p. 100.
29) SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., p. 168; INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di B.INZITARI, cit., p. 101; nello stesso senso Trib. Novara, 18 gennaio 2007, cit.:«La dichiarazione attestante la qualifica di operatore qualificato, resa ai sensi dell'art. 31 reg. Consob, deve essere corroborata da elementi di positivo ed obiettivo riscontro e non è di per sé sola sufficiente ad esonerare l'intermediario dal rispetto dei doveri di informazione e di protezione dell'investitore. Diversamente opinando, si verrebbe ad ammettere che i diversi standard di comportamento degli intermediari e l'eventuale applicazione di uno statuto protezionistico in favore degli operatori non qualificati sia fondata non sulla "qualità ed esperienza professionale dell'investitore" bensì su di un giudizio reso da colui le cui qualità dovrebbero invece essere verificate.» così massimata in www.ilcaso.it, I, 483.
30) Trib. Rovigo, 3 gennaio 2008, est. Ghedini, cit.: «...gli obblighi informativi hanno la principale finalità di assicurare una effettiva, e non presuntiva consapevolezza delle caratteristiche dello strumento acquistato, ...la dichiarazione di cui all'art. 31 del citato regolamento non può essere intesa come una mera autocertificazione, dovendo per contro ricorrere in concreto il possesso di una conoscenza specifica che consenta al giudice di ritenere il consenso prestato come pienamente consapevole.» così massimata in www.ilcaso.it, I, 1094.
31) INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di B.INZITARI, cit., p. 101.
32) Trib. Milano 15 ottobre 2008, cit.
33) D.MAFFEIS, Forme informative e cura sostanziale dell'interesse del cliente, in Riv. dir. privato, 2005, 587.
34) Trib. Roma 8 ottobre 2004, in www.ilcaso.it, I, 702; G.GRECO, Intermediazione finanziaria: la "nullità virtuale" per violazione degli obblighi di informazione, in www.ilcaso.it.
35) ALPA, Commento all'art. 21, in Alpa e Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit.; F.SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, cit. p. 139.
36) Di notevole rilievo appare sul punto Trib. Roma 24 maggio 2007, in www.ilcaso.it, I, 1338, che affronta il problema del rapporto tra la legge primaria ed i regolamenti indipendenti. Il contenuto della decisione - a quanto ci risulta la prima sul tema - è di particolare rilevanza perché afferma che i regolamenti delle autorità indipendenti non possono assurgere al rango di atti normativi primari e che i regolamenti Consob in particolare sono legittimi in quanto emanati in virtù della riserva relativa di legge contenuta nell'art. 41 Cost., secondo il quale "la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali"; In argomento anche D.MAFFEIS, Forme informative e cura sostanziale dell'interesse del cliente, cit. 2005, 587.
37) R.GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano 1998, p. 224. Sui rapporti tra autorità indipendenti e giudici si veda L.ENRIQUES, Il ruolo delle Autorità di vigilanza sui mercati mobiliari nelle controversie economiche, intervento al convegno "Il contenzioso in Italia e in Europa" Roma 26 settembre 2008, in www.consob.it; F.ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993.
38) P.G. DEMARCHI, L'eccezione di incostituzionalità: profili processuali, Delli Priscoli­Demarchi, Bologna, 2008, p. 58, il quale evidenzia che si è espressa a favore della sindacabilità dei regolamenti parlamentari Cass. Sez. un. 23 marzo 1981, in Foro It., 1981, I, 1331, ma che Corte Cost. 23 maggio 1985, n. 154, in Foro It., 1985, I, 2173, ha affermato il contrario. Lo stesso autore sostiene poi che, per quanto riguarda le norme emanate in sede di delegificazione, il controllo di costituzionalità deve essere individuato nella legge di abilitazione all'emanazione del regolamento o nel controllo di legittimità del regolamento stesso operabile dai giudici ordinari e amministrativi.
39) P.G. DEMARCHI, L'eccezione di incostituzionalità, cit.
40) R.GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, cit., p. 583.





















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