Violazione del divieto di agire in conflitto d'interessi nella negoziazione di strumenti finanziari
Pubblicato il 19/10/09 02:00 [Articolo 632]






1. La fattispecie oggetto di giudizio.
La sentenza del Tribunale di Milano che qui si commenta ha ad oggetto una delle tante fattispecie in tema di negoziazione di strumenti finanziari che negli ultimi anni sono state sottoposte al vaglio dell'autorità giudiziaria. Tuttavia, nonostante il caso concreto non presenti particolari peculiarità rispetto ai tanti altri fino ad ora giudicati, la pronuncia in esame merita di essere segnalata per la pregevole applicazione, effettuata dai giudici, della disciplina del conflitto di interessi nell'ambito della negoziazione di strumenti finanziari e per le conseguenti soluzioni raggiunte, soprattutto in tema di accertamento del nesso di causalità e di quantificazione del risarcimento dei danni subiti dagli investitori.
Gli attori avevano effettuato per il tramite dell'istituto bancario convenuto un'operazione di investimento in titoli Cirio Holding Sa 6,25%. A seguito delle note vicende che hanno coinvolto il gruppo Cirio, chiedevano al Tribunale adito che pronunciasse la nullità/invalidità/inefficacia dell'operazione effettuata per violazione, da parte della Banca, delle diverse norme del TUF e del Regolamento Consob 11522/98, che disciplinano gli obblighi di condotta e di trasparenza di titolarità degli intermediari finanziari nell'attività di prestazione di servizi di investimento, e comunque richiedevano che fosse loro riconosciuta una somma di danaro a titolo di risarcimento per i danni subiti.
Il Tribunale accerta la responsabilità della Banca convenuta per violazione del divieto legale di agire in conflitto di interessi e conseguentemente la condanna al pagamento di una somma di danaro pari a quella che gli attori avevano impiegato nell'operazione di investimento oltre, naturalmente, alla rivalutazione ed agli interessi.
La sentenza merita segnalazione per le svariate tematiche affrontate per altro ben trattate ed argomentate dal collegio giudicante: il modello di conflitto di interessi rilevante nell'ambito dell'intermediazione finanziaria ed il conseguente rimedio applicabile con particolare riferimento all'accertamento del nesso di causalità ed alla quantificazione del danno risarcibile.

2. Il conflitto di interessi nell'ambito dell'attività di negoziazione di strumenti finanziari.
Nell'ambito dell'attività di negoziazione di strumenti finanziari, la disciplina che attiene alla prevenzione ed alla gestione delle situazioni di conflitto di interessi1 assume particolare rilievo poiché gli intermediari finanziari abilitati, ed in particolare le banche, sono soggetti polifunzionali e sono quindi autorizzati a svolgere differenti attività nei confronti della clientela. Per questa ragione, gli intermediari finanziari possono trovarsi con i clienti in situazioni di potenziale conflitto nelle quali anziché perseguire interamente, come sarebbe loro d'obbligo, l'interesse del cliente, finiscono in realtà per perseguire i propri.
L'art. 21, comma 1, lettera c) del TUF dispone che, nella prestazione dei servizi di investimento ed accessori, i soggetti abilitati devono "organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo tale da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento".
Si afferma tradizionalmente che questa norma di legge è strutturata su un doppio livello: da un lato, il legislatore si premura di imporre agli intermediari di organizzarsi strutturalmente in modo tale da prevenire, per quanto possibile, il verificarsi di situazioni di conflitto di interessi; dall'altro lato, lo stesso legislatore, consapevole dell'inevitabilità2 del crearsi nella comune prassi di tali situazioni di conflitto, impone agli stessi intermediari abilitati, allorché si presentino tali situazioni, di assumere una condotta tale da assicurare in ogni caso ai clienti trasparenza ed un equo trattamento, evidenziando in particolare la titolarità di interessi di natura diversa che possono entrare in conflitto con quelli del cliente e specificandone la natura oltre che l'estensione.
L'art. 27 del Regolamento Consob 11522/98 rubricato "Conflitti di interesse", in attuazione dell'art. 21, comma 1, lettera c) del TUF dispone che "1. Gli intermediari autorizzati vigilano per l'individuazione dei conflitti di interessi. 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l'investitore sulla natura e l'estensione del loro interesse nell'operazione e l'investitore non abbia consentito espressamente per iscritto all'effettuazione dell'operazione. Ove l'operazione sia conclusa telefonicamente, l'assolvimento dei citati obblighi informativi e il rilascio della relativa autorizzazione da parte dell'investitore devono risultare da registrazione su nastro magnetico o su altro supporto equivalente. 3. Ove gli intermediari autorizzati, ai fini dell'assolvimento degli obblighi di cui al precedente comma 2, utilizzino moduli o formulari prestampati, questi devono recare l'indicazione, graficamente evidenziata, che l'operazione è in conflitto di interessi".
In primo luogo, quindi, gli intermediari abilitati devono organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo le situazioni di conflitto di interessi. Il successivo art. 56, commi 3 e 4, del Regolamento Consob 11522/98 individua il contenuto di questi obblighi organizzativi. Tale norma impone in capo agli intermediari autorizzati l'obbligo di adottare procedure interne finalizzate ad assicurare che non si verifichino scambi di informazioni fra i settori dell' organizzazione aziendale che devono essere tenuti separati oppure con altre società del gruppo che prestano servizi di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, collocamento oltre che servizi accessori.
La mancata osservanza dei principi dell'art. 56 appena citato, ha assunto peraltro una particolare rilevanza anche sotto altri profili. La violazione degli obblighi (previsti dall'art. 56), di dotarsi di una organizzazione adeguata allo svolgimento dell'attività di contrattazione in derivati, è stato alla base di provvedimenti sanzionatori della CONSOB, confermati dalla Corte d'Appello di Milano3, per il comportamento tenuto da un intermediario appunto nella contrattazione di prodotti derivati. Secondo l'autorità di vigilanza, l'intermediario avrebbe dovuto dotarsi di una organizzazione caratterizzata da risorse e procedure anche di controllo interno, idonea a fornire una ricostruzione delle modalità, dei tempi e dei comportamenti posti in essere nella prestazione di servizi, al fine di assicurare una adeguata vigilanza interna sulle attività svolte dal personale della stessa banca. La attuazione di questi obblighi e la predisposizione di questa misure da parte dell'intermediario, quindi sono entrati a far parte dello stesso contenuto del dovere di diligenza, a carico dell'intermediario, in quanto la mancata osservanza di tali presupposti anche organizzativi comporta la violazione del dovere di diligenza specificamente previsto all'art. 21 del TUF.
Qualora l'adozione di queste procedure interne, come può accadere, non sia stata comunque in grado di evitare il sorgere di situazioni di conflitto di interessi, si applica allora la regola del c.d. disclose or abstain: l'intermediario deve riferire al cliente della situazione di conflitto di interessi in cui si trova coinvolto, della sua natura e della sua estensione ed ottenere la sua autorizzazione scritta, altrimenti dovrà astenersi dal procedere con l'operazione.
Il legislatore consente dunque l'effettuazione di operazioni in conflitto di interessi purché il tutto si verifichi nel rispetto di determinate condizioni (preventiva informazione per iscritto sulla natura e l'estensione dell'interesse nell'operazione e consenso dell'investitore espresso per iscritto all'effettuazione dell'operazione) affinché il cliente sia reso edotto chiaramente ed esaustivamente dell'esistenza di un conflitto che potrebbe pregiudicare la soddisfazione dei suoi interessi. Non è, quindi, sufficiente la mera dichiarazione dell'esistenza di un conflitto di interessi in mancanza dell'indicazione contestuale riferita alla natura ed all'estensione dell'interesse dell'intermediario nell'operazione che si presenta in conflitto con quello del cliente investitore4.
La legge non vieta di concludere operazioni in conflitto di interessi in quanto un divieto assoluto ex ante impedirebbe il compimento di un numero considerevole di operazioni, a detrimento del regolare funzionamento del mercato dei servizi di investimento, che invece l'ordinamento giuridico intende tutelare. Tuttavia, lo stesso ordinamento, condiziona la conclusione di tale tipologia di operazioni all'obbligo di rispettare due concorrenti oneri ovverosia l'informativa da parte dell'intermediario e l'autorizzazione da parte dell'investitore.
Giova tuttavia ribadire che la presenza dell'autorizzazione scritta rilasciata dall'investitore non esime l'intermediario dall'osservanza sempre e comunque delle regole di correttezza e diligenza: l'intermediario deve, infatti, informare in ogni caso il cliente, non solo circa le caratteristiche del titolo oggetto di negoziazione, ma anche relativamente alla natura e all'estensione del conflitto di interessi.
Il giudice è dunque chiamato in primo luogo ad accertare se le operazioni intercorse tra intermediario e cliente siano state svolte in una situazione di conflitto di interessi e successivamente, in caso di esito positivo di tale attività di accertamento, verificare se sia stata rispettata dall'intermediario la disciplina imposta dalla normativa di legge e da quella regolamentare5.
L'intermediario ha l'obbligo di effettuare le comunicazioni prescritte - al di là della speciale ipotesi prevista dall'art. 45 del Regolamento Consob 11522/98 - prima di ogni singola operazione e non, come da alcuni sostenuto6, solamente nella fase iniziale e cioè al momento della stipulazione del contratto - quadro. Ciò perché, al momento della sottoscrizione del contratto quadro, l'intermediario ancora non sa quali saranno i prodotti finanziari oggetto dei futuri ordini di acquisto dell'investitore ed in particolare non sa se presso l'investitore saranno collocati prodotti emessi dallo stesso intermediario oppure prodotti emessi da società terze; oppure ancora, non sa se la negoziazione si svolgerà in contropartita diretta o meno. Al momento della conclusione del contratto - quadro, l'intermediario non è, dunque, nelle condizioni per acquisire tutte le informazioni necessarie e sufficienti per effettuare una corretta e completa disclosure dell'eventuale situazione di conflitto ma lo sarà solo nel momento antecedente le successive operazioni allorquando saranno individuati in modo determinato i prodotti finanziari oggetto di negoziazione.

3. segue: La disciplina del conflitto di interessi dopo la Direttiva MIFID.
L'intervento comunitario avvenuto con la Direttiva MIFID e le successive direttive di attuazione mostra un cambiamento di rotta, orientandosi per una politica di gestione del conflitto piuttosto che per una politica di prevenzione del conflitto, conflitto che il legislatore comunitario assume essere sostanzialmente ineliminabile.
Il par. 3 dell'art. 13 della direttiva MIFID rubricato "Requisiti di organizzazione" dispone che "le imprese di investimento mantengono e applicano disposizioni organizzative ed amministrative efficaci al fine di adottare tutte le misure ragionevoli destinate ad evitare che i conflitti di interesse (...) incidano negativamente sugli interessi dei loro clienti".
Questa è un'impostazione diversa rispetto a quella risultante dal TUF e dal Regolamento Consob 11522/98 appena esaminata in quanto non considera l'aspetto preventivo della tutela costituito dal divieto di concludere operazioni in conflitto di interessi ma impone all'intermediario di evitare che il conflitto di interessi, che viene considerato alla stregua di una situazione fisiologicamente inevitabile, incida negativamente sugli interessi dei clienti7.
Si elimina sostanzialmente tutta la fase della disclosure e della conseguente richiesta dell'autorizzazione al cliente, per concentrare tutte le forze sui profili organizzativi in modo tale che l'eventuale conflitto di interessi non possa incidere negativamente sugli interessi degli investitori.
E' infatti previsto che, in fase di recepimento della direttiva, l'obiettivo di "evitare che i conflitti di interesse (...) incidano negativamente sugli interessi dei clienti" deve essere perseguito mediante l'imposizione agli intermediari finanziari dell'obbligo di emanare norme di organizzazione preordinate al raggiungimento dell'obiettivo.
Tuttavia, non viene in alcun modo indicato il contenuto che devono possedere queste norme ed, inoltre, è previsto che, qualora le disposizioni organizzative adottate per gestire i conflitti di interessi non si rivelino sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato, l'impresa di investimento è tenuta, prima di agire, ad informare i clienti della natura e delle fonti di questi conflitti. Questa previsione non precisa però se è necessaria una specifica autorizzazione da parte del cliente oppure se è sufficiente la mera informazione perché l'impresa di investimento possa procedere all'operazione.
Inoltre, il XXV "considerando" della Direttiva 2006/39/CE prevede che lo status del cliente (cliente al dettaglio, cliente professionale o contraente qualificato) al quale il servizio di investimento è fornito, è irrilevante al fine dell'applicazione della disciplina del conflitto di interessi8. Per il principio di prevalenza del diritto comunitario, l'art. 31 del Regolamento Consob 11522/98 che esclude l'applicabilità di parte della normativa primaria e secondaria agli operatori qualificati, deve intendersi quindi modificato nel senso che deve ritenersi escluso l'art. 27 dall'elenco di norme che non si applicano in caso di prestazione di servizi di investimento nei confronti dei soggetti ivi indicati.
La disciplina del conflitto di interessi si applica quindi a tutti gli investitori, indipendentemente dalla loro qualificazione quali clienti al dettaglio, clienti professionali oppure contraenti qualificati.
Il nuovo Regolamento Consob 16190/2007 non contiene, a differenza del precedente, alcuna norma in materia di conflitto di interessi. La sua disciplina si trova, infatti, nel "Regolamento in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio" adottato dalla Banca d'Italia e dalla Consob con provvedimento del 29 ottobre 2007.
Al tema del conflitto di interessi è dedicata tutta la parte terza del Regolamento che contiene quattro articoli, dal 23 al 26, rispettivamente rubricati "Principi generali", "Conflitti di interesse rilevanti", "Politica di gestione dei conflitti di interessi" e "Registro".
L'art. 23 riprende in sostanza le finalità, espresse nella direttiva MIFID, della creazione all'interno della struttura di ogni singolo intermediario di una politica dell'organizzazione atta ad evitare che eventuali conflitti di interesse possano pregiudicare negativamente gli intereressi degli investitori. In primo luogo questa norma prevede che gli intermediari devono adottare ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse che potrebbero insorgere con il cliente o tra clienti al momento della prestazione dei servizi di investimento. Il secondo comma, in considerazione della polifunzionalità che caratterizza l'attività dell'intermediario, dispone che gli intermediari gestiscano i conflitti di interesse anche adottando idonee misure organizzative e assicurando che l'affidamento di una pluralità di funzioni ai soggetti rilevanti impegnati in attività che implicano un conflitto di interesse non impedisca loro di agire in modo indipendente, evitando così che questi conflitti incidano negativamente sugli interessi dei clienti. Ad ogni modo, e qui rientra il principio del disclose or abstain, quando le misure adottate ai sensi delle precedenti disposizioni non sono sufficienti per assicurare che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato, gli intermediari informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura dei conflitti affinché essi possano assumere una decisione informata sui servizi prestati, tenuto conto del contesto in cui le situazioni di conflitto si manifestano. V'è peraltro da notare che la norma non è esaustivamente chiara, non prevedendo se l'informazione fornita dall'intermediario è sufficiente per poter procedere con l'operazione oppure se è necessario ottenere l'espressa autorizzazione dell'investitore.
Il successivo art. 24 indica un criterio minimo attraverso il quale identificare i conflitti di interesse che possono nuocere agli investitori. Se a seguito della prestazione di servizi, l'intermediario (oppure un soggetto rilevante o un soggetto avente con essi un legame di controllo, diretto o indiretto) può realizzare un guadagno finanziario o evitare una perdita finanziaria, a danno del cliente, oppure è portatore di un interesse nel risultato del servizio prestato al cliente, distinto da quello del cliente, oppure abbia un incentivo a privilegiare gli interessi di clienti diversi da quello a cui il servizio è prestato, oppure svolga la medesima attività del cliente, oppure ancora, ed infine, riceva o possa ricevere da una persona diversa dal cliente, in relazione con il servizio a questi prestato, un incentivo, sotto forma di denaro, beni o servizi, diverso dalle commissioni o dalle competenze normalmente percepite per tale servizio, si deve ritenere che l'intermediario abbia un interesse in conflitto con l'investitore tale da potere incidere negativamente sui suoi interessi.
Il successivo art. 25 si occupa del profilo della politica di gestione dei conflitti di interessi che, come abbiamo visto, costituisce il momento essenziale della nuova disciplina di derivazione comunitaria. Esso prevede che gli intermediari formulino per iscritto, applichino e mantengano un'efficace politica di gestione dei conflitti di interesse in linea con il principio di proporzionalità. In particolare, la politica di gestione dei conflitti di interesse deve: a) consentire di individuare, in relazione ai servizi e alle attività di investimento e ai servizi accessori prestati, le circostanze che generano o potrebbero generare un conflitto di interesse idoneo a ledere gravemente gli interessi di uno o più clienti; b) definire le procedure da seguire e le misure da adottare per gestire tali conflitti. Queste ultime procedure devono garantire che i soggetti rilevanti impegnati in varie attività che implicano un conflitto di interesse svolgano tali attività con un grado di indipendenza appropriato, tenuto conto delle dimensioni e delle attività dell'intermediario e del suo gruppo nonché della rilevanza del rischio che gli interessi del cliente siano danneggiati. Al fine di garantire questa indipendenza gli intermediari devono adottare, laddove appropriato, misure e procedure volte a: a) impedire o controllare lo scambio di informazioni tra i soggetti rilevanti coinvolti in attività che comportano un rischio di conflitto di interesse, quando lo scambio di tali informazioni possa ledere gli interessi di uno o più clienti; b) garantire la vigilanza separata dei soggetti rilevanti le cui principali funzioni coinvolgono interessi potenzialmente in conflitto con quelli del cliente per conto del quale un servizio è prestato; c) eliminare ogni connessione diretta tra le retribuzioni dei soggetti rilevanti che esercitano in modo prevalente attività idonee a generare tra loro situazioni di potenziale conflitto di interesse; d) impedire o limitare l'esercizio di un'influenza indebita sullo svolgimento, da parte di un soggetto rilevante, di servizi o attività di investimento o servizi accessori; e) impedire o controllare la partecipazione simultanea o successiva di un soggetto rilevante a distinti servizi o attività di investimento o servizi accessori, quando tale partecipazione possa nuocere alla gestione corretta dei conflitti di interesse. L'ultimo comma, contiene una disposizione di tipo residuale secondo la quale qualora le misure e procedure non assicurino l'indipendenza richiesta, gli intermediari adottano le misure e procedure alternative o aggiuntive necessarie e appropriate a tal fine.
Da ultimo, l'art. 26 istituisce un registro nel quale gli intermediari devono annotare i tipi di servizi di investimento o accessori o di attività di investimento interessati, le situazioni nelle quali sia sorto, o, nel caso di un servizio o di un'attività in corso, possa sorgere un conflitto di interesse che rischia di ledere gravemente gli interessi di uno o più clienti.

4. Il rimedio applicabile nel caso di negoziazione in conflitto di interessi.
Nella fattispecie sottoposta all'esame dei giudici milanesi, la quasi totalità delle obbligazioni Cirio nelle quali avevano investito gli attori era in origine destinata, come si è potuto rinvenire dalle "offering circulars", ai c.d. investitori istituzionali. Nella realtà esse furono successivamente collocate presso il pubblico dei piccoli risparmiatori, nonostante nel contratto fosse stato garantito che in alcun modo nello Stato italiano i titoli sarebbero stati venduti o collocati attraverso la forma della sollecitazione al pubblico.
Ciò che in verità accadde fu che il Gruppo Cirio collocò i titoli in esame presso le banche che vantavano crediti nei confronti del Gruppo stesso le quali li ricollocarono quasi immediatamente presso il pubblico dei risparmiatori, senza segnalare l'evidente conflitto di interessi di cui la banca era titolare.
In particolare, nell'operazione di lancio sul mercato dell'obbligazione facente parte di ben sette emissioni, la Banca convenuta partecipò al consorzio di collocamento come lead manager ed acquistò i titoli in esame ad un prezzo non solo inferiore a quello di emissione ma anche a quello praticato successivamente agli attori, perseguendo dunque il proprio interesse e certamente non quello dei risparmiatori. Come se ciò non bastasse, l'istituto di credito aveva, nel contempo, aperto linee di credito nei confronti di diverse società dello stesso gruppo Cirio per svariati milioni di Euro.
In ragione del crack finanziario che ha successivamente investito il gruppo, pare chiaro che la successiva collocazione presso i risparmiatori, avvenuta nella c.d. fase di grey market, di tali titoli fosse finalizzata ad una loro pronta e snella dismissione. A ciò si deve aggiungere che, l'emissione di questi strumenti finanziari aveva consentito al Gruppo Cirio, che grazie a questa operazione aveva ricevuto liquidità, di ridurre il debito nei confronti della Banca stessa.
Come ben sottolineato nelle motivazioni della sentenza, la Banca aveva quindi assunto una triplice veste: di finanziatore delle linee di credito (con diritto di voto nelle assemblee in qualità di creditore pignoratizio), di lead manager del consorzio di collocamento delle obbligazioni e di intermediario finanziario nella vendita di alcune emissioni di obbligazioni.
La Banca convenuta aveva dunque chiaramente violato la regola del disclose or abstain in precedenza analizzata.
Il particolare ed unico tema oggetto di analisi in questa sentenza, cioè il conflitto di interessi, non consente di effettuare in questa sede digressioni nel più ampio e dibattuto ambito che riguarda i rimedi applicabili in caso di violazione da parte degli intermediari delle regole di condotta e degli obblighi di informazione imposti dalla disciplina legislativa e regolamentare9. Ci limitiamo a ricordare che la recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione10, chiamate dalla Prima Sezione a risolvere una questione di massima di particolare importanza e le cui conclusioni non sono state con favore accolte da buona parte della dottrina11, ha escluso l'applicabilità del rimedio della nullità per ogni caso di violazione della disciplina appena citata, ribadendo che la violazione di norme di comportamento può solo comportare la responsabilità delle parti contraenti e come tale essere causa di risoluzione del contratto oppure di attribuzione di responsabilità a titolo precontrattuale, ma che essa mai può incidere sull'atto negoziale nel senso di comportarne la sua nullità.
Nonostante le conclusioni raggiunte nella citata pronuncia, un'attenta dottrina12 ha riproposto l'applicabilità del rimedio della nullità del contratto per le operazioni compiute in conflitto di interessi e per le operazioni inadeguate, qualora siano state violate le norme dettate dal TUF e dai decreti attuativi della Consob. Secondo questa ricostruzione queste particolari fattispecie devono essere considerate diversamente rispetto a quelle disciplinate dai più generali obblighi informativi imposti dalla normativa di settore in quanto ad esse è imposto un preciso divieto legale di condotta che può essere superato solamente allorquando si adempiano specifiche modalità esecutive. Si tratta dunque della violazione di uno specifico divieto legale di compiere operazioni inadeguate o in conflitto di interessi che l'ordinamento giuridico disapprova e per il quale il rimedio applicabile più appropriato appare dunque essere quello della nullità per illiceità della causa per l'esigenza di ordine pubblico di evitare il diffondersi di operazioni pericolose.
Ciò nonostante, in ragione della funzione nomofilattica svolta dalla della giurisprudenza delle Sezioni Unite, il Tribunale di Milano rigetta la domanda di nullità ma condanna la banca convenuta al risarcimento dei danni subiti dall'attore.

5. Risarcimento del danno ed accertamento del nesso causale.
La pronuncia che qui si commenta affronta in modo compiuto e convincente una problematica che sino ad ora non era stata esaminata con il dovuto approfondimento: il problema del nesso di causalità tra l'accertato inadempimento degli obblighi imposti per il caso di conflitto di interessi ed il danno subito dal cliente.
Le stesse Sezioni Unite appena citate, che poco spazio hanno dedicato a questo particolare tema, avevano, nonostante le, a mio sommesso avviso, non convincenti conclusioni a cui erano giunte in tema di rimedi applicabili, a tal proposito esattamente affermato che, a differenza dalle altre fattispecie ove assumono rilevanza le condotte concretamente poste in essere dall'intermediario abilitato, nel caso di operazione conclusa in conflitto di interessi, è il compimento stesso dell'operazione ad essere rilevante e non il fatto che l'operazione compiuta possa comportare un risultato contrario agli interessi del cliente.
I giudici della Suprema Corte avevano in tal modo valorizzato il divieto di agire, a ciò facendo correttamente conseguire il principio che il nesso di causalità tra risarcimento e danno patito dal cliente, consistente nella perdita totale o parziale dell'investimento, deve considerarsi sussistente in re ipsa13. A questo proposito, i giudici della Suprema Corte avevano, infatti, affermato che "Ai fini dell'individuazione di un eventuale danno risarcibile subito dal cliente e del nesso di causalità tra detto danno e l'illegittimo comportamento imputabile all'intermediario, assumono rilievo le conseguenze del fatto che l'intermediario medesimo non si sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale, in quelle circostanze, avrebbe dovuto astenersi (sempre che, s'intende, risulti provato che nel caso in esame aveva l'obbligo di astenersene), non quelle derivanti dalle modalità con cui l'operazione è stata in concreto realizzata o avrebbe potuto esserlo ipoteticamente da altro intermediario". In sostanza, una volta accertata la presenza di un divieto legale di agire, l'illecito si consuma nel semplice fatto di agire in violazione di quel divieto.
A questo riguardo debbo rilevare che si tratta della applicazione di un principio del tutto logico e che è infatti previsto nel codice civile come principio di carattere generale.
La generale disciplina dell'inadempimento delle obbligazioni, dopo aver regolato la responsabilità per inadempimento del debitore con gli artt. 1218-1221, relativi infatti alla costituzione in mora ed agli effetti della mora sul rischio, dedica alle obbligazioni negative uno specifico articolo, l'art. 1222, che ha la funzione di "staccare" le obbligazioni negative dalla disciplina generale dell'inadempimento. Considerata la natura dell'obbligo negativo, vale a dire di non fare, che incombe sul debitore, l'inadempimento si manifesta per queste obbligazioni in modo immediato, definitivo ed irreversibile.
L'art. 1222, stabilisce infatti l'inapplicabilità alle obbligazioni negative delle disposizioni sul ritardo nell'adempimento, vale a dire le disposizioni sulla mora, ed inoltre aggiunge che ogni fatto compiuto in violazione dell'obbligazione negativa che incombe sul debitore, costituisce di per sé inadempimento definitivo.
Pertanto, come ogni fatto compiuto in violazione dell'obbligo negativo, costituisce per il debitore inadempimento definitivo, allo stesso modo l'agire da parte dell'intermediario in conflitto di interessi realizza l'illecito, in quanto l'illecito scaturisce dal fatto di avere agito in violazione del divieto.
Questo principio, con riguardo alla negoziazione di strumenti finanziari, è stato fatto proprio da una successiva pronuncia del Tribunale di Venezia che ha statuito che "se in generale grava specificamente sull'investitore l'onere di dimostrare il nesso di causalità tra inadempimento degli obblighi comportamentali e danno (...) vi sono, tuttavia, talune ipotesi nelle quali, come emerge inequivocabilmente dalla lettura della sentenza n. 27624/07 delle S.U. della Suprema Corte, il nesso di causalità in questione deve ritenersi in re ipsa (...), come nel conflitto di interessi e nelle operazioni inadeguate, nelle quali (...) l'intermediario può legittimamente dar attuazione all'ordine di investimento solo in presenza di determinate condizioni non ricorrendo le quali lo stesso ha l'obbligo di astenersi. Ove l'intermediario non si sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale avrebbe dovuto necessariamente astenersi (...) deve ritenersi che l'intermediario abbia concorso causalmente alla determinazione del danno"14.
Il Tribunale di Milano accoglie pienamente questo principio, riprendendo la distinzione tra conflitto di interessi come situazione, come azione e come risultato dell'azione, formulata da una dottrina che ha fornito un rilevante contributo ricostruttivo sul tema15. In particolare, i giudici milanesi correttamente sottolineano come il divieto legale di compiere un'operazione in conflitto di interessi senza provvedere a fornire le informazioni ed ad ottenere l'autorizzazione richiesta opera in presenza del semplice presupposto dell'esistenza di un conflitto di interessi (da intendersi conflitto di interessi come situazione) e ciò indipendentemente dall'incidenza effettiva dell'interesse in conflitto sulla condotta tenuta dall'intermediario (conflitto di interessi come azione) oppure sugli effetti dell'operazione (conflitto di interessi come risultato dell'azione) conclusa con l'investitore.
Nell'ambito dell'attività di negoziazione degli strumenti finanziari è dunque rilevante il solo conflitto di interessi come situazione.
Come è noto, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 1394 e 1395 cod. civ., non è sufficiente l'esistenza di una mera situazione di sospetto dell'esistenza di un conflitto di interessi perché il rappresentato possa impugnare il contratto, ma deve essersi prodotto un vero e proprio danno in capo al rappresentato affinché l'atto giuridico concluso dal rappresentante possa essere sottoposto alla sanzione della annullabilità16.
Nell'ambito dell'attività di negoziazione degli strumenti finanziari, per i motivi appena enunciati, è irrilevante, ai fini della configurabilità di una situazione di confitto di interessi, la concreta esistenza di un danno per il cliente consistente nella differenza tra il prezzo effettivo di acquisto ed il prezzo di mercato dei titoli.
La fattispecie del conflitto di interessi nel quadro della negoziazione degli strumenti finanziari è, infatti, ben più complessa di quella di cui all'art. 1394 cod. civ.
Nell'ambito della negoziazione degli strumenti finanziari, la gestione delle situazioni di conflitto di interessi è infatti caratterizzata da una particolare disciplina informativa, diretta a salvaguardare gli interessi del cliente e ad assicurare la tutela e l'integrità del mercato finanziario, che pone l'accento, in particolare, sul pericolo di danno e sulla correttezza della condotta dell'intermediario.
Gli obblighi informativi assumono dunque una peculiare ed autonoma valenza in quanto la preventiva conoscenza del loro oggetto è un momento essenziale per la formazione della volontà del risparmiatore nel concedere o meno la propria autorizzazione all'operazione tanto che il cliente può successivamente eventualmente agire nei confronti dell'intermediario in base al semplice presupposto che questi, in una situazione di conflitto di interessi, non ha adempiuto agli specifici obblighi impostigli dalla disciplina legislativa e regolamentare.
Nella disciplina codicistica il conflitto di interessi è considerato quale risultato della condotta ed è richiesto necessariamente il verificarsi di un danno per il soggetto rappresentato perché possa trovare applicazione il rimedio dell'annullabilità del contratto, indipendentemente dal fatto che il contratto è contrario all'interesse del rappresentato per l'esistenza di un interesse in conflitto o per la violazione, da parte del rappresentante, degli obblighi di comportarsi secondo la specifica diligenza richiesta. Nella disciplina del settore della negoziazione degli strumenti finanziari, invece, l'obbligo di segnalazione del conflitto non viene mai meno, indipendentemente dall'esistenza o meno di un danno17.
Solo questa interpretazione consente alla normativa emanata dal legislatore di svolgere appieno la propria funzione preventiva e di evitare che, come spesso accade, meri formalismi rappresentati da comunicazioni scritte ed autorizzazioni (spontaneamente?) rilasciate, si attestino su piani di tutela meramente letterali.
Sempre con riferimento alla problematica attinente l'accertamento del nesso di causalità, i giudici milanesi affrontano poi anche il tema della rilevanza dell'andamento sfavorevole del mercato.
Pur condividendo l'assunto secondo il quale, probabilmente, la perdita di valore dello strumento finanziario oggetto della controversia si sarebbe comunque verificata anche se l'operazione fosse stata posta in essere da un intermediario diverso, non portatore di un interesse in conflitto, il Tribunale di Milano esclude che questa circostanza possa eliminare la sussistenza del nesso di causalità in virtù del fatto che la previsione di un divieto legale di agire in conflitto di interessi svolge proprio una funzione di carattere preventivo e, con la conseguenza che, nel caso in cui tale divieto venga violato, il rischio della perdita di valore dello strumento finanziario viene trasferito sull'intermediario autore della violazione del divieto di agire in conflitto.
Ma v'è di più. Proprio perché l'andamento sfavorevole del mercato costituisce il rischio tipico del settore di cui si discerne, esso non può valere quale fattore di interruzione del nesso causale e ciò anche in ragione del principio, teorizzato in dottrina18 e consolidato in giurisprudenza, secondo il quale qualora un soggetto abbia violato un precetto specifico egli dovrà rispondere per tutti quei danni che sono realizzazione di quel rischio che con la previsione di quella norma si voleva evitare (c.d. teoria dello scopo della norma).
Di particolare interesse è, infine, anche l'ultima statuizione formulata dai giudici milanesi secondo i quali la mancata astensione dal compimento dell'operazione comporta l'obbligo di risarcire l'intero interesse positivo e, dunque, la perdita integrale, o anche solo parziale, del capitale investito, essendo del tutto irrilevante, per i motivi che abbiamo prima esaminato, come la stessa operazione avrebbe potuto essere in concreto realizzata se a porla in essere fosse stato un altro intermediario privo di un interesse in conflitto con quello del cliente.
La banca viene così condannata alla restituzione della somma investita dal cliente, oltre rivalutazione ed interessi.
Per inciso, giova rilevare che il cliente ottiene invece lo stesso risultato che avrebbe ottenuto se, invece di applicare il rimedio inadempimento/risarcimento, come indicato dalle Sezioni Unite, il Tribunale avesse accolto e quindi applicato il rimedio della nullità.










1) In dottrina, cfr. INZITARI - PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari a cura di Inzitari, Padova, 2008, 112 ss.; LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Riv. dir. civ., 2007, 739 ss.; SCOTTI CAMUZZI, I conflitti di interessi fra intermediari finanziari e clienti nella direttiva MIFID, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, 1 ss.; LENER, Il conflitto di interessi nella gestione di patrimoni, individuali e collettive, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, 429 ss; MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. civ., 2007, II, 71 ss.; ID., Forme organizzative, cura dell'interesse ed organizzazione dell'attività nella prestazione di sevizi di investimento, in Riv. dir. priv., 2005, 585 ss.; ID., Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002; BOCHICCHIO, Conflitto di interessi nella prestazione dei servizi finanziari: contributo all'elaborazione del conflitto d'interesse dei rapporti contrattuali di impresa, in Dir. fall., 2003, I, 781; ROSA, I "regolamenti attuativi" in materia di sim: pluralità di competenze e varietà di scopi, in CERA (a cura di) La regolazione dei soggetti finanziari nell'attività normativa delle autorità, Milano, 2002, 167; RAZZANTE, Servizi di investimento e conflitti di interesse tra lex specialis e norme civilistiche: un tentativo di ricostruzione della disciplina applicabile, in Riv. dir. comm., 2004, 59; VISENTINI, La disciplina del conflitto di interessi nel mercato mobiliare, in Nuova giur. civ. comm., 2002, 456; SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e clienti nello svolgimento di servizi di investimento e accessori: un problema risolto?, in Riv. dir. civ., 2001, II, 208 ss.; PINORI, Il conflitto d'interessi nell'intermediazione mobiliare, in L'intermediazione mobiliare. Studi in memoria di Aldo Malsano a cura di Mazzamuto - Terranova, Napoli, 1993, 150 ss.; AFFERNI, Rappresentanza e conflitto di interessi nell'ambito dell'impresa, in Rappresentanza e gestione a cura di VISINTINI, Padova, 1992, 206 ss.
2) Sul punto cfr. RAZZANTE, op. cit., 56 il quale testualmente afferma che "il legislatore sembra prendere atto del "conflitto" come di qualcosa di ineluttabile, come di un'evenienza ineliminabile, ma solo evitabile e al massimo comprimibile".
3) Cfr. App. Milano 13 novembre 2008, in ilcaso.it, ed in corso di pubblicazione su Giurisprudenza Italiana, con nota di INZITARI, Sanzioni Consob per l'attività in derivati: organizzazione procedure e controlli quali parametri della nuova diligenza professionale e profili di ammissibilità delle c.d. rimodulazioni.
4) Cfr. App. Torino, 9 novembre 2007; Trib. Rimini, 21 aprile 2007, cit., secondo il quale "L'informazione da parte dell'intermediario dell'esistenza del conflitto di interessi deve espressamente illustrare la natura e le caratteristiche del conflitto e la situazione concreta nella quale lo stesso si esplica. In difetto non può ritenersi sussistente il consenso informato dell'investitore".
5) Una deroga al meccanismo di cui all'art. 27, è prevista dall'art. 45 dello stesso Regolamento Consob 11522/1998, in tema di prestazione del servizio di gestione individuale di portafogli per conto terzi. Secondo tale norma, non v'è il dovere di informare di volta in volta l'investitore circa l'estensione e la natura di eventuali conflitti di interessi che si presentino in occasione dell'esecuzione delle varie operazioni, essendo sufficiente la descrizione della situazione conflittuale nel contratto - quadro e l'approvazione del cliente al momento della conclusione del contratto stesso. Qualora, tuttavia, gli strumenti finanziari acquistati superino determinate soglie sarà necessario, per l'eccedenza, rispettare la disciplina generale di cui all'art. 27. Sul rapporto tra queste due norme del Regolamento 11522/1998, la Consob (Comunicazione Consob n. 99051449/1999) ha espressamente affermato che "Nella prestazione dei servizi di investimento diversi dalla gestione individuale di portafogli non è consentita una descrizione generale e preventiva dei possibili conflitti da parte dell'intermediario e un'autorizzazione generale e preventiva da parte dell'investitore. Sono, infatti, richieste l'informazione dell'investitore e, da parte di quest'ultimo, l'autorizzazione scritta (o verbale, munita di registrazione, nel caso di ordine telefonico) per singola operazione...".
6) Così, LENOCI, Responsabilità dell'intermediario finanziario e tutela del risparmiatore, in Giur. merito, 2006, 1086.
7) Su questo punto, cfr. SCOTTI CAMUZZI, I conflitti di interessi fra intermediari finanziari e clienti nella direttiva MIFID, cit., che ritiene migliore l'impostazione accolta dalla direttiva MIFID anche se poi esprime riserve su come la stessa direttiva affronta il problema della "gestione" delle situazioni di conflitto.
8) Anche la stessa Direttiva MIFID del 2004, nell'indicare le norme la cui applicazione è esclusa nel caso in cui la controparte sia un operatore qualificato, non fa alcun riferimento agli obblighi contenuti nell'art. 18 che appunto disciplina il conflitto di interessi.
9) Per approfondimenti, si rinvia a INZITARI - PICCININI, op. cit., 139 ss. ed a tutta la bibliografia ivi richiamata.
10) Si tratta di Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724.
11) MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi di investimento: le sezioni unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in Contratti, 2008, 403 ss.; DOLMETTA, Strutture rimediali per la violazione di "obblighi di fattispecie" da parte di intermediari finanziari (con peculiare riferimento a quelli di informazione e di adeguatezza operativa), in www.ilcaso.it, II, 83/2007; SARTORI, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, (S.U.) 19 dicembre 2007, n. 26725, in www.ilcaso.it, II, 92/2008; INZITARI - PICCININI, op. cit., 188 ss. A favore, invece, delle conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite, COTTINO, La responsabilità degli intermediari finanziari e il verdetto delle Sezioni Unite: chiose, considerazioni e un elogio dei giudici, in Giur. it., 2008, 347 ss.
12) MAFFEIS, Op. cit., 403 ss. Dello stesso Autore, v. anche il contributo Contro l'interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. civ., 2007, II, 71 ss.
13) V. MAFFEIS, Op. cit., 407.
14) Trib. Venezia, 28 febbraio 2008, in Contratti, 2008, 557 ss. con nota adesiva di MAFFEIS, Dopo le sezioni unite: l'intermediario che non si astiene restituisce al cliente il danaro investito.
15) Cfr. MAFFEIS, Conflitto di interessi e rimedi, Milano, 2002, 75 ss.
16) In giurisprudenza si veda Cass., 10 aprile 2000, n. 4505, in Giur. it., 2001, 477; Cass., 25 giugno 1985, n. 3836, in Giur. it., 1986, I, 886; Cass., 18 settembre 1980, n. 5308, in Dir. fall., 1981, II, 37. Per la giurisprudenza di merito si veda Trib. Milano, 16 maggio 1988, in Giur. it., 1989, I, 2, 154. Contra, v. Cass., sez. lav., 26 novembre 2002, n. 16708, in Arch. civ., 2003, 376, secondo la quale "Il conflitto di interessi che se conosciuto o conoscibile dal terzo, rende annullabile il contratto concluso dal rappresentante su domanda del rappresentato, ricorre allorquando il primo sia portatore di interessi incompatibili con quelli del secondo, con la conseguenza che non ha rilevanza, di per sé, che l'atto compiuto sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato e che non è necessario provare di aver subito un concreto pregiudizio, perché il rappresentato possa domandare o eccepire l'annullabilità del negozio"; Cass., 7 dicembre 1999, n. 13708; Cass., 19 settembre 1992, n. 10749, in Giust. civ., 1993, I, 3055, con nota di COPPI; Trib. Catania, 30 dicembre 1989, in Giur. merito, 1990, 944.
17) In dottrina, aderiscono a questa tesi FIORIO, Gli obblighi di comportamento degli intermediari al vaglio della giurisprudenza di merito, in Giur.it, 2005, 768; MAFFEIS, Il dovere di consulenza, cit., 11 ss., ID., Conflitto di interessi nella prestazione di servizi di investimento, cit., 455 ss.; ID., Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002, 479 ss.; VISENTINI, La disciplina del conflitto di interessi nel mercato mobiliare, in Nuova giur. civ. comm., 2002, 456; SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e clienti nello svolgimento dei servizi di investimento e accessori: un problema risolto?, in Riv. dir. civ., 2001, II, 208 ss.; ENRIQUES, Lo svolgimento di attività di intermediazione da parte delle banche, aspetti della disciplina privatistica, in Banca, borsa tit. cred., 1996, I, 658.
18) Cfr. TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano, 1967, 46 ss.






















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