1.- La Convenzione stipulata il 24 giugno tra il Ministero dell'Economia e l'Associazione delle banche, attuativa dell'art. 3 del decreto legge n. 93/2008 (come recante «disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto della famiglia»), si inserisce in uno temi più caldi oggi proposti dalla società civile - quello dei mutui per abitazione - e per più versi costituisce una risposta politica dell'attuale governo all'azione del precedente, come reso dai noti decreti Bersani. Non a caso, confronti e polemiche anche pesanti non stanno mancando (cfr. il sito del «Popolo delle libertà»).
I punti di contatto tra le due serie di interventi paiono, in effetti, proprio pochini. Di questi, uno risiede nel fatto che la Convenzione non dà vita al «ripensamento» di alcunché; essa non sostituisce nulla, cioè, ma si limita ad aggiungere alle preesistenti una nuova misura: così allungando la fila dei provvedimenti e insieme fornendo una sensazione sgradevole di frammentarietà. L'altro consiste nella tecnica normativa, che persiste nel restare di livello davvero modesto. Se mitiche sono state le sgrammaticature dei Bersani (come sulla surrogazione, figura chiave della c.d. «portabilità del mutuo»), non più lievi imbarazzi è destinata a creare la convenzione Tremonti.
Basta pensare, tra gli esempi non maggiori, alle difficoltà che si incontrano nel cercare di definire con esattezza il perimetro oggetto dell'intervento. Un attento lavoro di elaborazione consente, con una qualche sicurezza, di fermare solo una «fattispecie minima»: le nuove regole si rivolgono alla persona fisica, che sia mutuatario (in toto a tasso variabile) e pure proprietario di un immobile in cui il medesimo, o un suo stretto congiunto, risiede. Ogni passo, ogni eventuale aggiunta ulteriore appare un azzardo. A complicare il lavoro concorrono più elementi: indifferente, il testo trascorre dal proprietario al mutuatario; lega all'abitazione in essere anche il mutuo per costruire (oltre che per abitare e per ristrutturare); con chissà quali pretese, dato il tenore del vigente art. 43 c. c., finisce pure per sostituire alla nozione di residenza le parole «dimora abituale».
Pure è da constatare - sempre per limitarsi agli esempi a portata di mano - come la Convenzione non si preoccupi affatto di regolare il ruolo che sarebbe destinato ad assumere, nella decisione sull'eventuale rinegoziazione, il terzo datore di garanzia. Ma per toccare un punto senz'altro nevralgico: a fronte di un'unica vicenda sostanziale, per l'esito della rinegoziazione la Convenzione ha programmato due rapporti, coesistenti e per sé distinti, quello di mutuo e quello del «conto di finanziamento accessorio (su cui v. anche nel n. 4). La disciplina di un simile programma, peraltro, è rimasta nella penna: con timore, l'operatore si interroga, ad esempio, sugli ipotetici nessi tra questo conto nuovo e la vecchia garanzia.
2.- Per il resto, la distanza che separa i provvedimenti in questione è veramente grande, di spettro assai ampio: al di là della singolare circostanza che vede la Convenzione appropriarsi in via negoziale di taluni dei risultati portati in via legislativa dal governo precedente (con non poca ipocrisia, così, essa passa a dichiarare: «nulla è innovato in materia di portabilità del mutuo»; la richiesta di una simile precisazione non promanava nemmeno dal contesto del decreto legge).
L'intervento di Tremonti, dunque, riguarda unicamente i mutui per abitazione a tasso variabile e, tra questi, solo quelli attualmente in essere. Il segno perseguito è quello della contingenza immediata, senza nessuna prospettiva ulteriore. Diversamente, gli intendimenti di Bersani, seppure di tratto asistematico, si sforzavano almeno di abbracciare l'intera area del mutui bancari, sia a tasso fisso, che variabile; e per certi versi andavano anche oltre il tema dell'abitazione (la portabilità, anzi, era - come ancor oggi rimane - figura di fruibilità generale, per quanto il suo normale antecedente pratico dell'estinzione anticipata e gratuita sia rimasto, non più lati di disorganicità, vincolato all'immobile).
E in ogni caso gli sforzi del passato governo tendevano a progettare delle regole (sì troppo «piccole» e «isolate» ma per lo meno) volte al futuro.
3.- Tra loro lontanissime si manifestano poi, di netto, le filosofie che improntano i rispettivi provvedimenti. I decreti Bersani miravano al dichiarato obiettivo di migliorare il prodotto mutuo: come mezzo a tale fine cercando di aumentare il livello di effettiva concorrenza tra le banche. Anche se - non si può non sottolineare - gli strumenti concretamente predisposti in proposito venivano a palesare una forte e intrinseca dose di velleità del disegno: perché l'intervento toccava solo qualche rotella degli ingranaggi; e pure perché lo stesso si nutriva della pretesa di affidarsi in toto alla libera scelta del cliente, ritenuto in grado di ergersi, e in tale ruolo eletto, arbitro della competizione che avrebbe dovuto tenersi tra le banche. Al di là di ogni (ovvio) rilievo sulla pretesa centralità della domanda a governare i termini dell'offerta imprenditoriale, è noto che i meccanismi di costruzione quantitativa dei debiti a soluzione differita (quali appunto quelli da mutuo) soffrono di dense tecnicalità, difficilmente decifrabili per la media degli utenti.
Comunque sia di ciò, la convenzione Tremonti resta del tutto estranea a ogni ipotetica tematica di concorrenza. Ci si muove qui su un piano (concettuale, prima di ogni altra cosa) affatto diverso: per ricorrere a un'espressione di sintesi e pure dotata di vigore espressivo, la filosofia perseguita è di impronta peronista. Gli stessi portavoce del Ministro affermano che la Convenzione, se «non è la bacchetta magica», però «costituisce una boccata di ossigeno salutare per quanti, e sono tanti, si trovano al limite della disperazione». Il punto è di individuare quale e quanta aria venga contenuta in una «boccata» simile.
Dall'inizio e ancora oggi i sostenitori della Convenzione dichiarano che la stessa porta risparmi: meglio, porta a «minori esborsi», che su «un mutuo ventennale di 80.000 € ... ammonterebbero a circa 850 € su base annua». Si trascura di far cenno, tuttavia, del numero degli anni per cui tale «beneficio» verrebbe a durare. In realtà, la simulazione, che è comparsa sulle colonne del «Sole - 24 Ore», ha già mostrato che la «convenienza» della Convenzione è un puro effetto ottico. Sia perché tende a spostare verso l'infinito il tempo di estinzione finale del mutuo, sia perché cede senz'altro alle ipotesi basate sulla figura della portabilità. La voce del «minore esborso» alimenta, in effetti, una mera illusione.
4.- Sotto il profilo strutturale, il mutuo toccato dalla Convenzione non diventa a tasso fisso, restando per contro a tasso variabile. Fisse divengono solo le singole rate che via via bisogna pagare: in modo corrispondente, tale mutuo comporta un obbligo di pagare per più tempo. Questo allungamento del periodo della durata, peraltro, non è gratuito: e, nei fatti, non solo in ragione degli interessi corrispettivi (che sono lasciati a tasso variabile in punto di produzione temporale) alla spalmatura nel tempo delle rate ulteriori.
Riempiendo un «buco» lasciato dal decreto legge, la Convenzione stabilisce che i surplus delle somme non richieste alla scadenza delle singole rate sono «addebitati su di conto di finanziamento accessorio» che «produce interessi, capitalizzabili annualmente». Ora, per la verità non è detto che la previsione di tale anatocismo sia davvero legittima: come è noto, da qualche anno le banche sono state sottratte al regime comune della materia (seppure a mezzo di una disposizione la cui tenuta costituzionale continua manifestarsi quanto meno improbabile) e affidate a una delibera amministrativa che, in tema di mutuo, consente l'anatocismo solo per le somme rimaste inadempiute (mentre, nel caso nostro, si tratterebbe di somme solo scadute, ma non già esigite).
Comunque, l'intendimento della Convenzione è chiaro: in questo momento il mutuo toccato dal provvedimento risulta essere più caro, anche se non sono certo da escludere contenziosi in proposito (comunque non decisivo mi parrebbe al riguardo il cenno che il decreto legge dedica al tema: nel contesto di una prescrizione di rinegoziazione in sé diretta a favore del cliente, invero, non si comprende se lo stesso vorrebbe ripristinare il generale divieto di anatocismo anche per le banche o se, all'opposto, allargarne le maglie della libertà). Un'altra illusione, insomma, è destinata a cadere.
Anche perché a contare sono pure i silenzi lasciati dalla Convenzione. Questi spazi in bianco, difatti, vengono a tradursi in altrettanti spazi di autodeterminazione per le banche che alla medesima pur vorranno aderire. In nessuna parte di questa si trova una disciplina per i costi e le spese afferenti al «conto accessorio»: spese di costituzione, di tenuta, ricarico di costi fiscali e quant'altro non difficilmente troveranno cittadinanza tra le voci di composizione del debito complessivo. Soprattutto, nessuna norma della Convenzione si occupa della importantissima materia della imputazione dei pagamenti, come pure si sarebbe dovuto. Non vi è dubbio che, nella misura in cui le somme destinate a rifluire sul «conto accessorio» vengano imputate alla linea capitale (e non a già quella per interessi), la quantità del debito complessivo venga progressivamente a crescere.
5.- Tornando al confronto tra i decreti Bersani e la convenzione Tremonti, non si può non sottolineare, altresì, la diversità delle metodologie di intervento governativo rispettivamente adoperate. Il precedente governo cercava di imporsi dall'alto: con scarsi risultati pratici, a stare almeno alla polemica tra l'Autorità dell'Antistrust e l'ABI di fine dell'anno scorso. Il governo attuale ricerca, invece, il consenso delle banche: già il decreto legge prevedendo l'adozione dello strumento della «convenzione ... aperta all'adesione delle banche».
Almeno a prima vista, non pare peraltro che il vincolo per le banche in concreto aderenti alla Convenzione sia poi così stringente. Le differenze tra banche aderenti e banche non aderenti non sembrano poi così grandi (al di là di una oscura «schedatura» compiuta, secondo quanto promesso dal «modulo di adesione» dal Ministero dell'Economia).
Sintomatico è, in proposito, che la rinegoziazione possa essere attivata e condotta unicamente dalle (singole) banche: nessuna iniziativa è consentita al cliente, nessuna sua possibilità di rilancio (verso mete migliori). Ciò esclude, senza incertezze, l'eventualità di predicare un diritto del cliente alla prestazione nei confronti diretti della banca interessata: la Convezione non è proprio un contratto a favore di terzi. Altrettanto difficile (e anche in via correlata) risulta pensare che il cliente sia dotato del rimedio dell'esecuzione forzata in forma specifica: l'impegno della banche aderenti trova il proprio titolo nella Convenzione; e a questa, per l'appunto, i clienti restano senz'altro estranei.
D'altronde, anche l'ipotesi di una semplice tutela risarcitoria del cliente a fronte della banca (che, pur avendo aderito, in certi casi rifiuti di procedere alla rinegoziazione) appare improbabile: dove sarebbe ad esempio l'ingiustizia del danno, necessaria per la tutela extracontrattuale del cliente? E a conferma di una simile lettura sta, per di più, la constatazione che il testo della Convenzione non prevede sanzioni di sorta. Non solo: sarebbe veramente da considerare inadempiente (alla Convenzione in genere) la banca che, di fronte a un cliente in forte difficoltà economica, condizionasse la sua proposta alla prestazione di una garanzia ulteriore?
In un simile contesto, di debole vincolo per le banche aderenti (oltre che di insufficiente tecnica normativa), non stupisce l'ulteriore constatazione che la Convenzione omette del tutto di regolare il caso del cliente inadempiente al pagamento delle nuove rate: in particolare, se e quando un simile inadempimento venga a travolgere l'intero impianto dell'avvenuta rinegoziazione (conto accessorio compreso). Anche se va pure rilevato che l'eventualità appena considerata non avrebbe mai potuto essere ritenuta così marginale in fatto da potere essere senz'altro trascurata: se non altro, per definire la misura della «boccata di ossigeno» che la Convenzione Tremonti avrebbe inteso dare alle «famiglie più in difficoltà».





















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